Sette premesse e un funerale

Premesso che la mia eterossessualità non è in discussione, ma è una delle poche certezze. Il mio lato femminile è evidente ai più intimi e da solo mi rendo conto di avere uno spirito eccessivamente critico, civettuolo, per gli accessori femminili che vedo su altre donne, per l’orrido gusto di mostrare talloni callosi nei mesi estivi, per il drammatico sensazionalismo con cui ci si tatua sulla pelle fiorellini, svastichelle, patatine, cavallucci marini, cuoricini o dubbie scritte giapponesi. Ma questo rientra nella mia eterosessualità. Nella mia, non in tutte, d’accordo.

Premesso che mi viene particolarmente difficile, in questo periodo, rapportarmi con il genere femminile, in tutte le sue discutibili forme e accezzioni, tra cui la famelica fighettina milanese post rientro da Panarea o Sardegna, ancora ciondolante per i mojiti, sciabattante nell’infradito di cuoio, distratta dalla colonna sonora sparata dall’iPhone mente con cinismo cataloga la vetrina di Zara come troppo popolare e sogna la riapertura della piccola Maison di Corso Garibaldi dove comprare ventose camicie di lino.

Premesso che sui Navigli, intesi come i seicento metri di fiume, bancarelle, bolgia umana e kebap che si diramano dalla Darsena, ci vado solo ad agosto, ma in centro, inteso come il triangolo di librerie tra il Duomo e i suoi vicoli, non riesco a non andarci, nemmeno quando uno scoraggiante tifone tropicale si aggiunge alla già segnalata fighettina di ritorno e ai soldati in divisa (viviamo in una città presidiata dall’esercito, cazzo. Lo stato di Polizia è la fine della democrazia, cantavano i Club Dogo, cazzo), e il senegalese che ogni volta, dico ogni volta, mi riesce a rifilare un libro su altri mondi possibili (democrazie senza razzismo, popoli integrati, cucina etnica, insomma il genere fantasy), e il suonatore ambulante con il suo sassofono che fa due note, solo quelle, ma dimostra che un sassofono fa sempre atmosfera, e gli zingari, o rom, che osservano il traffico umano, e gli agenti in borghese, che osservano i rom, che chiamano zingari, e i vigili che sonnecchiano all’ombra della galleria, e le commesse stressate, pallide, ma sorridenti, insomma l’umanità tutta che si ritrova nello stesso posto tutti i sabati per la celebrazione del sabato in centro.

Premesso che sto passando un periodaccio, se quando ti senti una merda, ma proprio una merda, che più merda non si può, tanto che ti infileresti nel cestino da solo, ma poi l’Amsa in periferia non passa e rischi di invecchiare incastrato in un cestino, se quando senti tutto intorno confusione e tu sei la confusione e la cosa non ti aiuta, anzi ti confonde, ma poi smetti di essere confuso perchè diventi depresso e vorresti linkarti su Wikipedia alla voce "astenia" e poi pensi che a trent’anni uno non può stare così allora stai peggio, e insomma tiri sera in questo barbaro modo.

Premesso che il mio fisico sembra l’unica fonte di soddisfazioni, perchè per una ragione o per l’altra sei tornato a tirare i pugni nel vento, arte fisica sommariamente chiamata boxe, la quale tu pratichi con ostinata dovizia di particolari a tempo perso, in mezzo al parco dove tutti corrono per rilassarsi e tu ti pianti davanti a un faggio e tenti di sfondare il tronco a furia di ganci. Che poi, povero faggio, già è sfigato a stare a due metri dall’aereoporto, ad avere i tarli indiani, i barbeque della domenica, che gli staccano i rami per fare gli spiedi, i cani che lo inondano di piscio, ci mancava anche un idiota che lo prende a pugni.

Premesso che hai scoperto IBS, e ti sei messo compulsivamente a comprare libri on line. Di tutto di più. E sei emozionato come un bambino quando arriva a casa il pacco, contenente sette libri di cui sei non ti saresti mai sognato di comprarli, ma così togli le spese di spedizione e ti senti furbo. Però ti sei trovato senza libri, e ti rimetti a leggere Augusteen Borroughs, ma poi ti scazzi, allora prendi Garcia Marquez, ma poi ti scazzi, allora prendi Wired, ma lo hai già letto sul cesso, allora prendi l’Economist, ma è una tristezza tremenda, allora pensi che sei stronzo e che devi fare ritorno in una fottuta libreria reale. Affanculo i pacchi celeri, evviva le buste di plastica che soffocano i delfini.

Premesso che in questi giorni prendere delle decisioni ti costa davvero tanto, roba del tipo: mi alzo o mi lascio morire a letto? mi faccio il caffè o mi impicco alla doccia con il laccio dell’accappatoio. Che finisce sempre che ti alzi, ti fai il caffè e ti metti in strada, sognando un laccio per l’accappatoio.

Detto questo, trovi subito il tuo libro. Ti aspettava all’ingresso, nello scaffale dei nuovi arrivi. C’è la nuova edizione de La Ballata delle Prugne Secche (compratelo, Pulsatilla ha bisogno di lettori, se no si rischia una terza edizione). C’è un libro su un uomo chiamato Ibra. Un libro sullo shopping, due gialli, tre stronzate e lui. Copertina bianca, rigida. Attende speranzoso che qualcuno se lo porti via. Lo prendi. Già l’autore è una garanzia. Quando garanzia è riduttivo. Passi sopra la copertina rigida, solitamente vietata e sintomo di libro per idioti. Prendi il tuo libro e identifichi una cassa. C’è coda in libreria. Allora pensi che c’è ancora speranza in questo mondo. Poi in verità la coda è composta da: ragazzina emo con libro su M. Jackson. Signora sotto psicofarmaci con I love Shopping. Rasta con quaderno Monocromo e penna Bic. Signore panciuto, sospettosamente simile a un dentista, con Corriere, Repubblica, Giornale e Gazzetta. E la speranza scema lentamente, come la crema del caffè appena fatto. Ti metti in coda, leggi la seconda di copertina. Arrivi alla cassa. Ti tocca un cassiere. Spassionatamente omo. Consegni il libro, consegni la carta di credito, non prendi il sacchetto perchè alla fine per i delfini ti dispace un po’, aspetti lo scontrino da firmare. E lui ti guarda.

Poi, mentre ti consegna la penna per firmare ti dice: "sai che hai delle bellissime mani".

E tu pensi alle tue mani. Che in effetti non sono niente male. Abbronzate, muscolose, ordinate, virili, spaccone, delicate, callose, leggere, affusolate. Non sai cosa rispondere. Prendi il libro ed esci. Insieme alle tue mani.

 PS: il libro è "Principianti" di Carver. La perfezione, talvolta, ha la copertina rigida.

Parto Dunque Sono

Da quando ho capacità di comprendere il mondo e le sue primordiali attività, quindi da quando ho due anni, ogni dodici mesi, con regolarità svizzera, vivo insieme ai miei concittadini lo straordinario fenomeno delle Partenze Intelligenti. Insieme agli altri fenomeni estivi, tra cui L’Ultima Settimana Di Lavoro, celebrata con il count down su Facebook e l’aperitivo con i colleghi, La Notte Di San Lorenzo, che Studio Aperto continua a spostare dopo il 10 agosto e che tu passi regolarmente o in traghetto o in aereo, il Ferragosto, che dopo è quasi Natale, che balli, bevi e fumi, insomma insieme a tutte le scadenze italiane, la Partenza Intelligente è un must. Mio padre è stato uno dei Grandi Maestri della Massoneria delle Partenze Intelligenti. Caricavamo il Peugeot la sera prima, in gran segreto. La cosa richiedeva dalle due alle quattro ore, per via dell’incalcolabile volume delle borse delle mie sorelle, che dipendeva da numerose variabili. Trasportavamo quintali di lacca per capelli, tonnellate di magliette e maglioncini, bancali di trucchi, generalmente per ritrasportarli intatti. Eravamo una famiglia sensibile, facevamo fare le vacanze agli oggetti di casa. Una volta caricata la macchina, si era autorizzati a due/tre ore di sonno, in attesa della Partenza Intelligente. Ore nelle quali mio padre, zoccoli, canotta e bermuda, ripassava il piano di viaggio come un carrista americano si studiava la Normandia. La scelta delle soste, i rifornimenti, l’eventuale, ma mai consentita, pisciata fuori programma, seguivano un itinerario ben preciso. L’unico in Italia: L’Autostrada del Sole. La partenza avveniva una manciata di minuti dopo le cinque. Seguivano, solitamente, almeno due ritorni all’ovile. Primo: abbiamo lasciato il gas aperto. Secondo: abbiamo dimenticato un oggetto fondamentale a scelta tra: la piastra per capelli, lo scopino per le pulizie, lo sgabello di tela. A quel punto, nella macchina, la temperatura raggiungeva i trentacinque gradi e la concentrazione di esseri umani era tale da poter tranquillamente ottenere lo status di Carro Bestiame. Ad ogni incrocio prima di raggiungere l’Autostrada, gli sguardi taglienti di mio padre incrociavano quelli di altri uomini, a bordo delle loro utilitarie stra cariche. Da casello a casello non ci abbiamo mai messo meno di cinque ore, qualunque fosse la destinazione. Cinque ore nelle quali, dopo i giochi di gruppo, il panino, il caffè nel thermos, il succo Billy, una sosta rifornimento con pisciata clandestina, non sapevi davvero cosa fare. 

Fino ai diciannove anni, ho sempre creduto che davvero da Milano a Lodi occorressero due ore e un quarto, e che Lodi tutto sommato fosse vicina al mare. Quando le case automobilistiche hanno inventato l’aria condizionata e hanno smesso di rivestire i sedili di flanella, ho celebrato la cosa come un successo personale. Finalmente avrei smesso di perdere tre chili ogni viaggio. Uno dei grandi vantaggi del matrimonio di mia sorella era un notevole incremento di spazio sul sedile posteriore, nel quale adesso potevi anche muovere le braccia senza toccare carne sudata. Nel tempo hanno costruito altri super mercati oltre alla Coop di Grosseto, rendendo possibile l’acquisto e il consumo del latte nello stesso giorno e senza che diventasse formaggio cagliato nel baule-forno della Peugeot. Hanno costruito altri campeggi, altre spiaggie, altre strade, e la gente ha iniziato a dividersi, per reddito, per tipologia di vettura e per divertimenti. Chi gioca a golf ama fare immersioni. Noi giocavamo a bocce e amavamo fare la coda per la doccia, cercando di lavare anche le pentole e mangiando pasta con il Badedas per due settimane.

Ci siamo divisi, inesorabilmente. Ma non abbiamo mai smesso di incontrarci, tutti insieme, sull’Autostrada del Sole, fermi immobili sotto il Sole che da il nome all’autostrada, tra Parma e Reggio, nel nulla delle colline. E scendiamo ancora dalla macchina, guardando fisso nel vuoto verso la fine della coda. Cerchiamo le sigarette, e mentre ne accediamo una, pensiamo che le cinque meno cinque forse non era l’orario perfetto. Aggiungiamo ai buoni propositi il cambio di orario per l’anno prossimo. E pensiamo che arriveremo tardi in ufficio. Noi e quattro milioni di italiani, come le banane, con il bollino nero di Studio Aperto. Noi, che quest’anno parto alle cinque meno cinque.

 

Ciao Nanda

Senti Nanda, ti chiamo Nanda perchè tutti ti chiamano Nanda. In verità non ci siamo mai conosciuti. Ti ho vista una volta parlare, qualche tempo fa, di scrittura e libri, in uno stanzone affollato da ragazzi della mia età. Tutti ai tuoi piedi. Ho iniziato a vedere le tue foto quando ho iniziato a seguire quegli scaffali della libreria dove si appoggiano i colossi del secolo scorso. C’era il tuo nome, in un modo o nell’altro, in ognuno di questi libri. Ho comprato un libro di foto sulla Beat Generation, e ho scoperto una piccola donna bellissima, che ha avuto l’ostinazione, il coraggio, la fortuna, il genio, di essere nel posto giusto al momento giusto. Così sono venuto a sentirti parlare, così ho iniziato a leggerti. E sei finita in quell’angolo dove ci sono i punti fermi di un percorso, il sentiero di un cammino deve essere battuto prima da qualcuno con il fiuto della vetta. Adesso, morire è una cosa abbastanza naturale. Soprattutto alla tua età. Niente di imprevedibile. Adesso che quel sentiero lo percorriamo in tanti, mancherà comunque una guida, mancherà comunque il fiuto di una super star. Eri proprio bella, nelle foto di San Francisco, eri proprio affascinante, con il tuo parlare, era davvero frastornante quello che dicevi e la dedizione che davi. Pazienza, ti dedicheranno un festival, forse una statua, magari una via, così va il mondo. Ci sono volte in cui mi siedo ai piedi di Montanelli, in mezzo ai piccioni, guardando il traffico al di la del cancello dei giardini. E penso che forse ha chi ha dato la sua vita per cambiare qualcosa, non basti una statua. Mancherai. Mancherai a molti, e a molti mancherai molto più che a me. Ce ne faremo una ragione, e faremo in modo che i semi buttati possano fiorire in qualche modo. Ti pensavo qualche settimana fa, mentre passeggiavo per San Francisco, pensavo a quello che hai fatto, a quando lo hai fatto. Poi ti ho pensata l’altra notte, sdraiato in un corridoio di un traghetto, mentre ascoltavo la gente. E’ spiazzante, ma quando hai le cose ti manca la percezione della loro importanza. Forse nel perderti, tanti capiranno la tua importanza. Peccato. Io sono solo riuscito a stringerti la mano, insieme a molti altri. Avessi saputo che si trattava dell’ultima volta, lo avrei fatto con più solennità. Ma il bello della vita è che non sai mai se è l’ultima volta. Toglierebbe la sorpresa.  Sarebbe come una poesia senza poesia.

Ciao.

in loving memory of Fernanda Pivano

era meglio quando si stava peggio

Sai cosa? Di scrivere non mi stanco mai, e questo è un problema, talvolta. Come con Filippo, un amico che ho conosciuto in montagna e con il quale ci siamo scritti lettere tutti i giorni per mesi. Su cosa, ora non ricordo, ma ricordo l’immenso piacere di sedersi al tavolinetto di legno nell’angolo della camera, spostare la tovaglietta infeltrita, aprire il cassetto, prendere la carta e stappare la stilografica. Era uno spasso anche vedere le parole uscire dal pennino, con ordine e precisione. Una a cui scrivevo davvero volentieri era la mia fidanzata ai tempi del liceo. Per non farmi beccare, scrivevo su piccoli fogli a quadretti, riempiendo tutto il foglio e chiudendo sempre con una cosa più sdolcinata del giorno prima. Forse in effetti la nostra storia è anche finita perchè dopo il "ti voglio un mondissimo di universissimo di bene" non sapevo bene che cazzo inventarmi.

Insomma scrivere crea dipendenza, e io sono abbastanza propenso a tutte le dipendenze emotive, chimiche e sociali.

Oggi, in verità ieri notte, mi sono trovato a pensare di smettere di scrivere. Non ho folle di lettori che compiangeranno la scelta, non ho editori che mi consiglieranno benzodiazepine. Poi ho pensato che forse non è giusto smettere di scrivere. Forse è più appropriato smettere di scrivere di me. Eh, sembra semplice, ma per un egocentrico non ci sono molti argomenti validi come il "adesso scrivo un bel pezzo su me stesso o su come io interpreto il mondo".

Allora forse ho solo bisogno di leggere. Quello che ho scritto fino a ieri, sui miei quaderni e su questo posto, ha cambiato improvvisamente senso, prospettiva, e rischia di diventare una pesante lapide memoriale. Per i quaderni ci vuole davvero poco. La carta di oggi brucia che è un piacere. Sembra che riciclandola la intingano in un intruglio di sostanze relativamente infiammabili, ma è una notizia di terza mano datami da un tossico con il quale sono costretto a parlare ogni tanto che tra una canna e l’altra si succhia un paio di documentari.

Sul cancellare questo posto il gesto è di un’immediatezza spiazzante. Ci sono momenti per cui mettere la parola fine richiede tempo, impegno, aiuto. Ho davanti alla mia vita, affacciati al davanzale della mia coscienza, un paio di situazioni in cui basta un battere di ciglia, un click di mouse, un sorriso, e forse qualche lacrima. Questione di secondi, fine, boom, chiuso. Se solo cancellare le parole che vorrei cancellare, che  vorrei bruciare, potesse servire a qualche cosa.

Ho la sfiga di avere una memoria visiva incredibile. Non ricordo perfettamente il contenuto, ma ricordo la forma. Quando soffro, la mia memoria visiva si fa aiutare dalla memoria olfattiva più potente che abbiate mai visto. Guardavate quel telefilm, "the Sentinel" dove lui, investigatore, usava i suoi sensi per sentire a kilometri, vedere nel buio eccetera eccetera? Ecco, il mio naso, nel dolore, si attiva come una macchina svizzera, un meccanismo infallibile di archivio. L’odore da una dimensione differente al ricordo della sofferenza. Ricordo l’immagine d’inisieme, il primo sguardo, al corpo di mia madre morta. E ricordo perfettamente il profumo che mia nonna, tra una corona del rosario e l’altra, metteva a litri. Profumo che non è ancora uscito di produzione e che ritrovo nei posti più impensabili. Il mio naso, ieri, ha fatto il suo lavoro. Il cuore sembrava impazzito, i polmoni volevano urlare. Le mie mani sentivano il bisogno di stringere, con una forza mai sentita. E la mia memoria ha fatto il resto. Quindi è inutile cancellare parole scritte e già lette, quando il cuore, i polmoni, le mani, il cervello, portano il ricordo perfetto di tutto.

Ecco perchè, seduto a contare i respiri, ho deciso di non decidere. Perchè quando mettere la parola fine è questione di attimi, potrebbero essere secoli di rimpianti. Perchè quando vivi, quando ami, quando fai quello che tutti cercano disperatamente di fare, il rischio è un elemento da calcolare. 

Forse non smetterò mai di scrivere, devo solo trovare altro su cui farlo.

Forse non smetterò mai, lo farò semplicemente in modo diverso.

SEE U SOON

San Diego Missing Train

e questo e’ il terzo tentativo. Mi siedo, inizio a scrivere, e il tempo scade, il computer si disconnette e io rimango seduto davanti allo schermo aspettando il miracolo di una riattivazione. Abbiamo fatto le valigie, lasciando la piccola camera a Little Italy con un po’ di malinconia. Lasciare San Diego e’ davvero difficile, non tornarci sembra impossibile. Ce ne faremo una ragione. E’ da una settimana che non metto le scarpe, lotto con l’oceano per avere ragione di una tavola e del suo contorto rapporto con le onde. San Diego va bene per tutti, si modella sulle esigenze di chiunque, va daccordo con qualsiasi tipo di vacanza. Si parlano tutte le lingue, si bevono tutte le birre, si sorride molto, si dedica molto tempo allo struscio, si osserva la gente, si imparano i loro orari.  Ci si districa tra le basi militari, i campi di addestramento e le zone vietate. Si impara a riconoscere un paese in guerra dalle lacrime delle mogli all’aereoporto, dal silenzio ordinato delle ville di Imperial Beach. Si impara la noia dello shopping, si mangia anche italiano, si aspetta il tramonto al mare, vicino al Crystal Pier, si fa la coda per un espresso.  Si socializza, parlando palermitano oppure suonando la chitarra con un barbone pieno di wiskhy.

Sembra di lasciare una citta’ pronta ad aspettarti di nuovo, senza che niente cambi. E’ possibile solo in un paese senza storia, senza un passato di chiese, guerre e comuni, ma con un recente passato trasformato in mito e conservato per le nuove leve, pronte a morire per difenderlo. Dopo un po’ stanca, e vuoi tornare nella tua terra che di buono ha solo il suo glorioso, infinito, passato. Ma basta accontentarsi e vivere molto bene oggi, come fanno tutti.

Il GRAN FINALE:

Da quando mi sono sposato la mia banana e’ cambiata molto. La mia banana e’ molto vissuta, come tutte le banane di chi viaggia tanto. Colpa delle donne, che prendono la tua banana e ne fanno un loro accessorio. La banana e’ la cosa piu’ preziosa per un uomo. E’ meglio perdere un piede che perdere la banana, dicono i saggi. Mi aspetto di avere una banana lunga, ma solo la dottoressa potra’ confermarmelo, parlando della mia banana e facendomi domande sulla mia banana. Faccio tutto per rendere la mia banana perfetta, e cerco di avere una banana sana e attiva. Ti spaventa parlarmi della tua banana? Allora ti parlo io della mia banana. La mia banana e’ cambiata molto negli ultimi giorni.

Ho semplicemente provato a sostituire la parola sigaretta con la parola mela. Come ho fatto sopra, con la parola vita e la parola banana.

Il risultato e’ uno scoppiettante ventre, mai sazio di mele. Ah, dovresti solo immaginare quanto e’ buona la prima mela del mattino, quella mangiata appena svegli. E la mela dopo cena? uno spettacolo. La mela nel traffico, la mela mentre aspetto la birra. Una figata. Sono solo un po’ preoccupato per la mia salute, perche’ una cassetta di mele al giorno sembra essere tanto. Passero’ alle mele leggere. Sembra funzionare, fumo solo due sigarette al giorno, mangio mele come un roditore, e comincio a sentire gli odori della citta’.

Per quanto riguarda la banana, e’ tutta una questione di filosofia. Le dimensioni della banana, nella banana, non contano. Basta trovare una donna che voglia una banana serena, perche’ la banana e’ gia’ dura di suo…

mi faccio 30 ore di volo e poi mi rifaro’ sentire dalle coste mediterranee.

Adios

 

Big Sur Emotional Linik

Mi ricordo che qualche giorno fa io e la Signora, avvolti in un caldo umido e feroce, non riuscivamo a prendere sonno, tormentati dalla notte milanese. Non si respirava, non si riusciva a non sudare, semplicemente si aspettava l’alba. Me lo ricordo, ma e’ un ricordo lontano, una sensazione davvero esotica, visto che nell’ultima settimana ho avuto freddo. Freddo vero, aria tagliente, nebbia bagnata, vento forte dal mare, dicono che sia normale per San Francisco. Dal diciassettesimo piano del nostro albergo, vedevamo le nuvole cadere sulla collina con inquietante precisione, come schiuma che scivola sul mare. E di colpo le case vengono avvolte dal freddo, la gente si ritrova immersa nella nebbia e il centro comincia ad assomigliare al centro di Chicago a novembre. Dimentichi di essere in agosto, solo il tuo corpo te lo ricorda, palesando tutti i sintomi dell’influenza suina. Per il resto, San Francisco e’ troppo per essere raccontata. In un giorno smetti di accontentarti del tram d’epoca che sferraglia per le salite, delle bakery, di Lombard Street e dei suoi fiori. Ti trovi spaesato tra una massa di turisti per Fisherman Wharf, mangi zuppa di granchio sul molo, osservi la gente e cerchi sulla mappa dove sia Castro. Arrivi a Castro, respiri un aria surreale, cerchi tra le tonnellate di cazzate vendute qualcosa che non sia blasfemo, offensivo o tragicamente trash, e ti ritrovi subito su Market Street, infilato in un Abercrombie Shop, immerso nel profumo, circondato da commessi wasp e italiani a caccia di magliette. Smetti di accontentarti perche’ sembra che questa citta’ possa darti di tutto. Poi passeggi per Chinatown, arrivi a Little Italy, mangi una pizza che assomiglia a una pizza, senti il chiasso dei buttadentro che con accento siciliano invitano a mangiare un piatto di tagliatelle, senti ovunque odore di cibo, guardi i palazzi, respiri la citta’. Arrivi davanti alla City Light Bookstore. Fai un respiro profondo. Pensi a quanto ti abbia dato da leggere. Pensi a quanto sei cambiato. Esiste un confine, netto e preciso, tra come eri prima e come sei adesso. In mezzo ci stanno quelle pile di libri divorati negli anni dell’universita’. Quando ti sentivi solo con Fante, ridevi con Buckowsky, pensavi a Ferlinghetti e al suo coraggio e ammiravi la Pivano. Giri per la libreria, ne esci con in mano un libro di poesie e un cd. Assomiglia a un viaggio in Tibet per un buddista americano. Perche’ sai che questa rivoluzione non l’hai mai fatta, ma ne respiri i benefici tutti i giorni. Poi ti rimmergi nel cielo plumbeo, vai a vedere il Golden Gate, perche’ tutti ci vanno. Ma alla fine e’ solo un ponte. Come per tutti i ponti, la cosa piu’ sorprendente e’ quello che c’e’ dall’altra parte. Sausalito e’ un miracolo. Le case galleggianti sono la prova dell’esistenza di una cultura alternativa.

Prendi la macchina e inizi a mangiare kilometri, o miglia. Arrivi a Santa Cruz con le aspettative di un italiano e ti ritrovi a fare i conti con la realta’ americana. Mangi cibo organico, dormi in un b&b ricavato in una casa vittoriana, respiri il freddo che viene dal mare, osservi i pellicani, i surfisti biondi che saltano tra le alghe kelp. Senti freddo, ma ti sei abituato a sentirlo. Il freddo interiore fatto dai negozi e da nient’altro e’ difficile da recuperare.

Arrivi nel Big Sur guidando tra gli alberi. Fai benzina, non si sa mai, e poi la costa, il mare, il paesaggio, ti esplodono in faccia. E’, probabilmente, la cosa piu’ bella ed emozionante che potessi vedere. Cerchi di tenerti dentro i profumi, fai le foto come un giapponese impazzito, ti incodi con altri suv. Ti fermi alla Henry Miller Library e provi una solitudine tremenda. Mangi un panino a Lucia, affacciato sulla costa, guardando il mare e respirando il silenzio.

Il Big Sur che finisce e’ come un confine tra due stati. Finisce il freddo, compare il sole, la terra si appiattisce, i paesaggi si addolciscono. Motociclisti ti sorpassano su una strada che, pensi, prima o poi dovrai fare anche tu in moto. Poi l’autostrada, la terra che non cambia, sembra uno scherzo. Milioni di alberi, milioni di cespugli, poche case. Arrivi a Santa Barbara, parcheggi, prendi una stanza in un motel con i cessi in comune. Lo consigliava la guida. Cominci a pensare che quello che ha scritto la guida e’ uno stronzo. Passeggi per il centro, ricco sfondato. Osservi e aspetti l’esplosione di un lusso che e’ davvero in crisi. Ti porti negli occhi il Big Sur, respiri ancora l’odore di San Francisco e ti addormenti pensando che hai ancora davanti molta strada, molta gente con cui parlare, molte facce da ricordare e molte piccole orrendezze da dimenticare.

Come tutti i viaggi, anche questo ti cambia, lentamente. Per questo non riesci a leggere, in compenso scrivi come un pazzo. Ti sei abituato al cibo, ti sei abituato al clima, ti stai abituando alla gente, preghi di non abituarti ai difetti, ma qualche cosa porterai a casa.

Questo e’, a spanne, quello che hai fatto per osmosi se sei stato con me negli ultimi quattro giorni. Non hai smesso di fumare, non lo farai, perche’ in viaggio fumi da sempre, e cerchi di mangiare il meno possibile. Riscopri lentamente la Signora, non sai se sia piu’ bello questo o la California. Porti tutto dentro.

E pianifichi la partenza per Las Vegas. Pronto a giocarti tutto.

 

Uno due tre, prova

Mario diceva un sacco di parolacce. Parolacce senza troppa fantasia, roba da principianti, ma sicuramente d’effetto per un bambino di 11 anni. Io Mario non lo volevo nemmeno vedere, ma ci capitava almeno due volte alla settimana di incontrarci. Dopo il catechismo era inevitabile. Mi fermavo ad aspettare mia madre e la sua cigolante 126 rossa. Ci volevano ore perchè arrivasse, o almeno così mi sembrava mentre cercavo di nascondermi dietro le colonne del portico. Una volta Mario bestemmiava. Poi Don Pino si è messo a inseguirlo con un libro dei canti. Forte dei suoi trent’anni, il prete ha vinto e Mario si è convertito a concetti più soft, decisamente a sfondo sessuale, ossessivamente rettali. Riusciva a prendermi ovunque io fossi, e forte dei suoi dieci centimetri in meno di altezza, scaricava una raffica di pugni sulla mia pancia mentre io mollavo le caramelle. Non ho mai pianto, anche quando mia mamma ha smesso di darmi la mancia perchè preoccupata dall’eccesso di caramelle che compravo al bar dell’oratorio. Secondo una stima approssimativa, se avessi davvero mangiato tutte quelle caramelle mi sarei dovuto trasformare in una coca cola frizzante con i piedi. In verità l’ottanta per cento dei mei acquisti finiva in bocca a Mario, provocandomi anche dolorosi mal di pancia da pugno, segno evidente, secondo mia madre, del consumo eccessivo di caramelle. Mario diceva sempre che avrebbe voluto fare il camionista. Nessuno contestava l’idea, io per primo, sicuro che i camion circolassero a miglia marine dall’oratorio. Qualche tempo fa mi hanno parlato di Mario, che fa il camionista. E’ sposato con Paola, una delle bambine più belle che io avessi mai visto.

Oggi nel caldo della A1, infilato tra due camion, ho pensato a Mario, e ho inavvertitamente tirato fuori il dito medio dal finestrino. Così, forte dei miei 200 cavalli, sicuro del mio abitacolo, pronto a scappare con una accellerata forte. Non mangio più caramelle frizzanti.

 

Essere persone interessanti

Leggo affascinato su un quotidiano espressamente comunista che il Beneamato Leader usa fare numerose docce gelate durante la notte. Leggo cose di questo genere più che altro per passare il tempo, aspettando il mio baccalà e le mie patate. Qui viene scuro tardi e a quest’ora non immaginano nemmeno di mangiare. Mi arrangio con gli aperitivi, leggendo il giornale e ascoltando la gente che parla. Sono reduce, mai termine più appropriato, da una lettura davvero piacevole, che pianifico di terminare questa notte, mentre tutto me sarà impegnato a digerire il baccalà. Napoli 44, di Lewis Norman, è un bellissimo libro. Si legge che è un piacere, lascia da pensare, è scritto inaspettatamente bene ed è spassosamente attuale. Racconta di Napoli, dalla fine del 43 al 44, con gli occhi di un soldato inglese e della sua inglesissima visione del mondo. Parla di camorra, di zii di Roma, di quotidiana povertà, di un partito chiamato Forza Italia. Potrebbe anche essere un libro da consigliare. Insomma, ad intuito, inanello il terzo libro buono di fila. Cose dell’altro mondo. E’ che qui il baccalà è come il pane, lo trovi davvero ovunque. Fritto, lessato, ai ferri, con i pomodori, con l’insalata, in salsa rosa. Roba da Gamberetti Gump. Fa quasi caldo, quando si ferma il vento, e viene voglia di sedersi per terra a guardare la gente che passa. Non è normale avere un sacco di cose da fare alle nove e mezza di sera per un italiano.

Smettere di fumare

Ho deciso di comprare solo accendini Bic Blu. Piccoli. Ho deciso anche di comprare direttamente dieci pacchi di tabacco alla volta. In aereoporto. Risparmiando. E ho deciso anche di smettere di fumare. Ho diligentemente compilato una lista di ottime ragioni per farlo, alla quale ho affiancato una lunga lista di ottime ragioni per non farlo. Ho osservato numerosi esseri umani nel tentativo di smettere. Provo immensa tenerezza per tutti i paliativi psicologici come cerotti, aghi, falli di plastica, morsetti ai capezzoli e quant’altro occorre per dare al proprio corpo un diversivo. Pensavo, qualche giorno fa, a come mi sia dimenticato velocemente un sacco di inizi della mia vita. Non ricordo il giorno esatto in cui ho iniziato a leggere. Ed è un peccato. Visto che è una delle cose più utili che faccio. Ovviamente non ricordo nemmeno il giorno in cui ho iniziato a parlare. Da quel giorno l’atto di produrre suoni comprensibili per altri esseri umani mi ha creato parecchi problemi. Ricordo invece benissimo il giorno in cui ho iniziato a fumare. Era estate, giugno. Era in un sentiero di montagna, insieme a Marco Masini. Che però era solo un omonimo. Se no, forse, avrei iniziato direttamente con l’eroina. Ho iniziato con una Marlboro. Ricordo anche il giorno in cui ho iniziato a smettere. Ma è un ricordo troppo nitido, forse per questo non ho ancora smesso. In effetti basterebbe togliere le sigarette non necessarie, quelle fumate per vizio. Solo che io ritengo tutte le sigarette che fumo come necessarie. E non ho certo il vizio. Devo solamente garantire al mio corpo la giusta quantità di nicotina. Forse un giorno smetterò. Più che altro per sfida alla mia forza di volontà. Ma i cinesi insegnano che i nemici potenti vanno sfidati in gruppo. Per questo mi sto alleando con una serie di motivazioni. Attendiamo nella boscaglia della coscienza, pronti a sferrare l’attacco finale. Attendiamo fumando.

Stimolato da questa attesa e da uno dei picchi più bassi del palinsesto nazionale, leggo molto. Che male non dovrebbe fare. Ho ad attendermi Douglas Adams, consigliato al volo dal Baffo, il libraio del Trovalibri, rimasto molto scocciato del mio nuovo amore con IBS, l’inferno elettronico dove compri migliaia di euro di libri senza rendertene conto. Mi sono anche preso "Mia Sorella è Foca Monaca" e un Vinicio Capossela vs Vincenzo Costantino (In Clandestinità). Questo per memoria del più bel San Valentino mai festeggiato; passato appunto ad ascoltare Vincenzo Costantino Chinaski e Capossela. Ho l’ultimo di Kundera, anche se penso che prenderà molta polvere perchè non mi sento pronto. In compenso mi sono tolto lo sfizio di possedere "Tempo e Spazio nell’impresa postfordista". Possederlo, perchè leggerlo sarà sicuramente un’avventura. Il prossimo sarà Norman Lewis (Napoli 44), più che altro perchè dopo Calabresi sarebbe un peccato rovinare questo spettacolare periodo. Quando inizi con un libro bello, devi tenere il ritmo. Ah, a proposito, Calabresi (La Fortuna Non Esiste), sarà il prossimo regalo che regalerò per almeno due anni. Scrivere libri così dev’essere una soddisfazione. Leggerli è una goduria. Quasi come fumare una sigaretta dopo essersi ripromessi di smettere di fumare.

Grazie al cielo, "Smettere di Fumare è facile Se Sai Come farlo" è un best Seller. E’ una consolazione sapere che ci sono uomini che hanno bisogno di fare un cattivo uso dei libri, addirittura dando a un libro il potere di convincerli a fare una cosa. Era l’incubo di Hitler.

trentadue modi per sfuggire al dentista

Ho fatto il mio dovere elettronico e per la prima volta nella mia vita ho ordinato dei libri on line. Tu dici poco, ma per me è stato un salto epocale. Uso Facebook per guardare le foto dei mei compagni del liceo e trovare piacere nel constatare di non essere l’unico stempiato con pancetta, ma per il resto non amo nessuno strumento elettronico. Per lo meno nessuno strumento elettronico sarà mai in grado di darmi lo stesso piacere di sfottere un commesso della Feltrinelli oppure di sfogliare un libro leggendo il finale e millantando di averlo letto tutto. Traevo anche sommo piacere nel constatare che alcune librerie fossero decisamente meglio di altre. E in quelle che erano meglio di altre passavo molto tempo e spendevo molti soldi. Poi le librerie meglio di altre hanno chiuso. L’ultima ha fatto spazio a un Temporary Shop che vende canotte firmate e orrendi costumi da bagno. Questo mi ha portato a cercare sollievo in altre librerie, provando anche a scendere di livello nella selezione per accontentarmi. Ma è stato come aver fatto l’amore con la donna più bella del mondo per poi ritrovarsi a scegliere una donna più bruttina scendendo a compromessi con me stesso. Vada per le basette. Vada per i baffi. Vada per le caviglie pelose. Vada per le unghie dei piedi sporche. Così facendo mi sono ridotto a comprare un manuale sulle piante grasse all’Esselunga. Il passaggio elettronico è stato forzato. Che comodità, che varietà di titoli, che semplicità nell’ordine. E poi dicono che praticamente te li stanno già consegnando. Supremo. Peccato che siano due giorni, i più lunghi della mia vita, che attendo sulla porta, in piedi in mutande e calzini, l’arrivo del pacco. Peccato che io sia in partenza, anche se questa è una costante, e che quindi stessi pianificando i prossimi quattro giorni con meticolosa precisione. La distruzione dei sogni di un uomo è un crimine intellettuale. Figura portante di tutta la vicenda è Frencis, il portiere cingalese che da anni finge di lavorare per noi limitandosi a sorridere sulla porta d’ingresso dalle nove alle nove e mezza. Considero lo stipendio di Frencis come un atto caritatevole e detraggo quanto verso per lui e la sua illimitata famiglia dalle tasse che evito di pagare, lasciando quindi che sia lo Stato ad occuparsene indirettamente. Questa è Democrazia. Questa è Integrazione. Avevo pensato di non andare a lavorare, di non mangiare, di non bere, per stare in piedi sull’uscio ad attendere il pacco, ma ho ritenuto più saggio delegare la cosa al mio brunito e minuto amico cingalese. Il palazzo è presidiato da un portiere cingalese, il corriere boliviano arriva con il pacco, si parlano in italiano, non si capiscono, si offendono, ma lasciano il mio pacco a destinazione ritornando alle loro utili mansioni e garantendomi un futuro da lettore. Invece nulla è accaduto, io sono vicino a una sconsolata lettura dei cartelli stradali e tutto sembra davvero inutile.

Per questo mi ero prefissato di scrivere le trentadue semplici regole da seguire per sfuggire al dentista, regole di sicuro successo e che portano grandi risultati, se l’obbiettivo è scappare mantenendo il nero macho tra i denti davanti. Però sono spossato dal caldo e penso che tornerò sullo zerbino ad attendere.