buscolini e pop porn

Uno degli intrinsechi vantaggi di un blog è il poter affrontare in grande serenità argomenti che difficilmente potrebbero avere un pubblico fuori dall'etere cablato. Difficilmente hanno un pubblico anche dentro l'etere cablato, ma poco importa. Tu scrivi, ed è come se ti fossi liberato dell'impellente voglia di comunicare al mondo la sensazionale notizia di aver comprato uno spremiagrumi a tre velocità. Le tue difficoltà nell'installazione del manico ergonomico e nella comprensione dell'uso dello strumento, scritte con sadico umorismo autoreferenziale, ti liberano del peso di sentirti un idiota. Ma se lo raccontassi a un amico, del tuo lungo calvario con lo spremiagrumi, sarebbe parecchio diverso. Come se raccontassi a un amico del tuo costante impegno nella lotta contro i soprusi striscianti negli ambienti di lavoro. Come se raccontassi a una amica della grande passione di infilare palline di plastica per creare bigiotteria, o della grande passione per la cucina moderna. Una delle categorie più noiose di bloggers, gli avvisatori di movimenti anche detti narratori di eventi, è migrata fortunatamente su Facebook e Twitter. Comunicano ansiosamente al loro pubblico di essere al concerto, al cinema, di aver visto il tizio, di aver parlato di questo, vissuto quest'esperienza. In caso di assenza di eventi, nel pericoloso limbo del vuoto, pubblicano frasi di Fabio Volo sull'amore. Che è come pubblicare frasi di Ibraimovich sull'attaccamento alla maglia.

Qui dentro, in cinque anni di onorato servizio, abbiamo vagliato quasi tutto lo scibile che sta sotto la voce: "argomenti scacciapassera". D'altro canto, noi (plurale maiestatis) non siamo online per scopare offline. Non ci piace andare alla cieca, e soprattutto abbiamo una vita sentimentale che ci consente di interagire con il gentil sesso senza ricorrere al commento sul post. Ho scritto (singolare, più adatto a questo posto), per scrivere. Dell'oscillante pubblico, ormai fedele, quasi ossidato, ce ne siamo quasi sempre sbattuti. L'unico picco di lettori, pari a un sedicesimo di un settimo del terzo dei lettori che cliccano su Corriere.it sotto il link allo speciale: "affronta le vene varicose: diretta con lo specialista", è arrivato in questo posto dopo uno spregiudicato post. Mi minacciavano di morte, o anche semplicemente mi mandavano a fare in culo.

Il tutto per dire che, ieri sera, infilato a velocità tutor su un'autostrada deserta alle due di notte, sentivo il forte bisogno di raccontare gli esiti di una dubbia cena di lavoro. Sicuro di trovarmi, prima o poi, prono sulla tastiera pronto a pubblicare un nuovo post, mi son anche detto: ma perchè?
Cosa c'è di straordinario nell'ordinario di una cena, ordinaria, in un posto, ordinario pure quello, anche se in culo al mondo, con gente estremamente ordinaria, sotto la media?
Nelle due ore, intensamente passate a sperare che tutto finisse prima di due ore, tra ravioli di pesce, riso al radicchio e gamberi, vino bianco scadente come le chiacchiere di lavoro, non c'è niente di straordinariamente pronto per diventare un racconto, un'episodio scritto. Vogliamo forse diventare come Skizzetta94, che racconta ansiosamente del compito di mate, che ha studiato con la Kate, ke palle, e poi le è venuto lo skazzo per Mirko, che non si parlano più però lei vorrebbe parlargli ancora, ma lui alla fine no? Vogliamo forse assomigliare a Brunito, che scrive deliranti epopee, peccando in punteggiatura e sintassi, su depressioni incomprensibili dovute ad eventi incomprensibili? Il segreto di un buon racconto, diceva Carver, è nello scrivere di qualcosa che è successo, che succederà, o che sarebbe potuto accadere.
Allora ho deciso due cose. La prima è di dare una rinfrescata a questo posto. Su Wired di questo mese (compralo Wired, fallo, ne vale la pena. Anzi abbonati a Wired, che è ancora meglio) ci sono dieci consigli per mantenere il tuo blog in forma. Nessuno dei dieci mi ha convinto. Ma devo fare qualcosa, questo posto non mi piace più. Poi ho deciso di non scrivere di ieri sera. Qui. Perchè scriverò di ieri sera, e di quello che sarebbe potuto accadere, con calma.

Mi limito solo a sottolineare che, più vado avanti con gli anni, più capisco Fight Club. Sarebbe stato estremamente figo prendere la tovaglia gialla, ribaltarla addosso al ciccione tedesco che mi stava di fronte, scartare sulla destra e affondare la forchetta nel triplo mento del mio vicino e poi dirigersi a passo fermo verso il troione del tavolo in fondo alla sala. Colpendola forte sul mento e salendo sulla sua sedia, si sarebbe potuto proclamare l'inizio della Royal Rumble. E sono sicuro che almeno metà della sala avrebbe apprezzato. L'altra metà, attonita, sarebbe stata travolta dal turbine di mani e piedi che, finalmente,  avrebberosfogato la frustrante rabbia. In sottofondo, girovagando nella sala immersa in una rissa epocale, avremmo potuto sentire, finalmente:
"ma che cazzo me ne può fottere che hai visto Giuliano dei Negramaro in Salento?" "che due coglioni sta cazzo di barca in Sardegna con quel cesso di tua moglie". "avessi la tua vita, avrei partecipato ai Mondiali di Impiccagione, altro che stimarti per l'importante contributo". "sei grassa, e quella cazzo di minigonna non se la può permettere nemmeno una tua gamba da sola. Insaccato di merda". "non me ne fotte un beneamato cazzo di tuo figlio che inzia l'asilo dalle suore".
Al fischio finale, dopo aver ripristinato l'ordine con degli idranti, si sarebbe potuto ricominciare dal secondo, un vitello su un letto di sedani e carote. Musica dal vivo, dolce servito in terrazza, e poi tutti a casa. Con qualche livido, sicuramente, ma molto più rilassati.

Sarebbe, lo dico con certezza, l'inizio del crollo dei post inutili, degli aggiornamenti di status su Facebook. Molta più gente in strada con meno da dire e più da fare. Il ribasso incredibile delle frasi di Fabio Volo, che incuriosito, arriverebbe a una delle nostre cene. Tovaglia, scarto, sedia, inizio del divertimento. Lo vado a cercare e, prima di affondare un gancio basso sul rene destro, finalmente gli dico: "Essere il surrogato degli Harmony Rosa non ti fa onore, fratello".

Saluti

Missi Taglia

Come l'ottanta per cento dei miei coetanei, ritornato dalle ferie ho espresso un sano desiderio di esercizio fisico. Sono andato alla palestra del quartiere. Un postaccio. Un ex cantina, ex deposito di qualcosa, riverniciata con colori urtanti. Come per tanta della nostra classe dirigente, anche a loro andrebbe ricordato che non basta una lampante pennellata di un colore nuovo. Ho subito un affronto intellettuale quando mi è stato detto che sei mesi costano come un anno. Ho subito il peso dell'ignoranza quando mi sono stati elencati dieci corsi dai nomi stupendamente english, abdominaling, streching, leveraging. Uao, ho risposto, per fare felice la ragazza. Avrei dovuto rispondere altro, lo so. Tipo, ma come cazzo fai a credere che la tua camicia verde stia bene con la canottiera rossa della palestra, brutta idiota cromatica. Ma sono un buono, e a settembre sono buono e fatto. Adesso mi chiamano tutti i giorni, dalla palestra. Mi scrivono anche esseemmeesse con prezzi e quantità. Spacciatori di wellness. Io, dalla mia, l'idea della palestra l'ho abbandonata subito. Preferisco la piscina e la bicicletta. E poi sono sposato, non ho nessun bisogno di fingere di sollevare pesi mentre parlo a una casalinga che apre e chiude le gambe a ritmo latino, fingendo di non vedere il grasso superfluo che fuoriesce dalla tutina Dimensione Danza e le pesanti occhiaie che la fanno assomigliare a un panda. A Settembre faccio sempre qualche cazzata. Ho la sindrome da rientro. Al contrario. All'università, verso un certo punto del mio glorioso percorso di assenze e rimandi, ho scoperto l'erba. Il potere benefico dell'erba è in quella stupenda sensazione di perenne caduta in un precipizio immaginario. Cadi, senza muovere un dito, ridendo di tutto quello che ti sta intorno. Di risate non è mai morto nessuno, pensavo. Nemmeno di cadute immaginarie, mi dicevo. Poi mi sono trovato spalmato contro un cartellone pubblicitario di Armani, in pieno centro, alle quattro di mattina, senza sapere bene perchè. Venivo da un duro incontro di ripasso per Diritto Pubblico. Avremmo potuto fumarci la Giamaica, ad aver avuto i soldi per farlo. Diritto Pubblico l'ho passato, e poi ho smesso. Con l'erba e con il Diritto Pubblico. E anche con i cartelloni di Armani. Forse ha smesso lui di metterli tra la mia Vespa e il mio box. Non so. In ogni caso, non ci siamo più amati come prima. L'erba è come l'università. A un certo punto cresci, e smetti. Ti rendi conto che entrambe le cose non sono indispensabili. Anzi, decisamente inutili. Perdi privilegi e guadagni doveri. Così, settembre è una specie di lunga fattanza da erba. Ridi della vita, reagisci in ritardo agli stimoli, guardi il mondo caderti addosso, e aspetti ottobre, mese decisamente migliore per sopravvivere. Ad essere persone ragionevoli, bisognerebbe avere la saggezza di un vecchio cinese, ed aspettare il nemico settembre, mentre sfinito dalle prime nebbie, dalle pioggie e dal traffico, scorre morto nel letto del fiume della vita. Guardo passivamente tutto, compreso l'ex principe che elegge miss Italia. Mi interesso a tutto allo stesso modo, reagendo solamente agli stimoli che compromettono la mia sopravvivenza. Nel traffico ne approfitto per brevi e salutari pisolini. A casa leggo, ma non troppo, e scrivo. Ho scritto un racconto in tre ore esatte. Non so bene se sia un dato positivo o negativo. Ma ho in progetto di scriverne altri undici e poi pubblicarli tutti e vincere qualche premio letterario. Sono un po' la risposta italiana al continuo e spumeggiante emergere di talenti oltreoceano. Ma il mondo ha bisogno di una risposta italiana? Sono domande da porsi, mi son detto mentre sfogliavo un giornale sul cesso. Hanno chiuso un panificio in zona, per aprire un centro massaggi cinese. Ma, sull'onda di Mentana, devo dare la notizia completa: hanno chiuso un videonoleggio hard per aprire un centro massaggi cinese. E nessuno ha sentito il bisogno di soffrirne. Non sono mai entrato in un videonoleggio hard, ma suppongo che la tipologia di clientela potenziale sia se non la stessa almeno simile a quella del centro massaggi cinese. E' un po' come chiudere un negozio che vende vernici e aprirne uno che vende pareti già pitturate. Poi hanno aperto un altro centro massaggi cinese in mezzo al vialone che porta nel nulla. Adesso ne hanno aperto un terzo, al posto di un panettiere. Dal pane al pene, si direbbe. Osservo, dal mio lato del fiume, la dignità di una città morire dentro anonimi centri massaggi. E rimpiango le vecchie baldracche sui viali. Come faccio io a sapere tutte queste cose? L'altra importante attività che sto facendo in questo settembre è di monitorare il traffico ciclistico in zona. Spero segretamente di ritrovare la mia vecchia bicicletta. Non è detto che sia stato uno zingaro a rubarmela. Basta con i luoghi comuni e con lo strisciante razzismo da quartierino. Ma io non ho mai visto così tanti zingari in bicicletta nella mia vita. Mimetizzato insieme al muro silenzioso di vecchietti che osservano i cantieri, tengo traccia dei movimenti di tutti quelli che girano su due ruote. Ogni giorno perdo un pezzo di speranza, si consuma la candela del miracolo, ma sono informatissimo sui lavori del teleriscaldamento e delle nuove banchine del tram. Pregi e vantaggi di un settembre memorabile.

Cordiali saluti e suggerimento velato: è facile scrivere inizi memorabili, quello che è difficile è finire delle storie memorabili.

Quanta saggezza.

Colonna Portante

Sono tornato in ufficio e ho trovato rumore di tastiere, un pigiare impazzito e velocissimo. Poi ho trovato le nuvole e un tempo strano, allora ho deciso. Ho preso un treno, prima classe, per il mare. Sembrava un documentario sull'India, treno scafascione, gente svaccata, prezzo in euro. Arrivato al mare mi sono accorto di stare bene. Al mare, intendo. Poi è un mare che è quasi casa. Conosci tutto, dalla struggente maleducazione dei locali alla struggente maleducazione dei milanesi in vacanza. Sul treno, per il mare, leggevo i giornali mentre l'aria condizionata sparata con furore agiva lentamente sulle mie tonsille. Ah, avere ancora le tonsille…

Un mese fa, quasi, facevo il bagno nell'oceano. Atlantico. Poi nel Mediterraneo francese, poi nel Mare Nostrum. Che posti, che pasti, che pesto!

Ho conosciuto un po' di gente nuova, ho parlato di tante cose, ho ascoltato un paio di storie mica male. Ho letto, avidamente, un gran bel tomo ("Racconti di Vento e di Mare, G. Bertone, Einaudi, costa come il cd dei Black Eyed Peas ma non ci sono le foto di Fergie). La forma perfetta è il racconto, lungo al punto giusto da lasciare il segno, breve al punto giusto da lasciare in sospeso alcune cose. Dentro c'è di tutto, ma un paio di chicce vanno segnalate. Carver, che ha inventato il racconto. Melville, che si studia solo a scuola come Conrad. E poi Pavese, il suo racconto è il migliore. Garcia Marquez, che pillola, che spettacolo.

Poi ho portato in giro il mio cappello a vedere cose, annusare città e respirare dialetti. Beh,adesso sono qui, a cercare di far quadrare Milano, mentre sono già pronto a ripartire. Le belle storie ascoltate stanno diventando qualcosa di buono, e le solite belle idee estive stanno passando sotto il fuoco incrociato dell'inospitale ritorno.

Mi hanno rubato la bicicletta, cazzo proprio adesso che mi stavo appassionando ai miei giri nella periferia verde.  Ho voglia di comprarmene una nuova, ma meno bella. Qualcosa che mi costi di meno perdere. E' la terza bici che mi rubano a Milano. L'ultima volta mi sono comprato una Vespa Gialla.

Ho assistito alla morte del primogenito della mia sempervivum, Bruno. Bruno è arrivato sul mio balcone quatto anni fa. Ha figliato in quasi tre vasi differenti e ha sopportato due inverni tragici. Io adoro le piante grasse, o succulente, e i pesci rossi. Adesso rimangono i figli di Bruno, in quattro vasi diversi. La sempervivum atlanticum, che non è una formula di Harry Potter, è forse la meno bella di tutte, ma è la più sincera. Al freddo si stringe, con il sole si allarga, beve quanto basta e lascia che tutto le passi sopra. Mi piace sentire la terra umida sotto di loro, e sentire le dure foglie che si lanciano verso il sole.

Tornato sono tornato, ma tra piante grasse e tastiere impazzite, ci sto mettendo parecchio a mentirmi e dirmi che qui è tutto perfetto.

Surf it fritz.

Benvenuti al Cellophane

Logorato da un bruciore di stomaco decisamente imputabile alle ventisei dita di vino bianco trangugiate in due ore di cena, stavo seduto nel silenzio del sabato notte della periferia di Milano ad Agosto. Ho iniziato da qualche tempo a misurare l’alcool che ingoio in dita, è sicuramente più romantico del canonico bicchiere, calice, blender, chiupito. Quattro dita sono un bicchiere abbondante. Ma sono più romantiche di un bicchiere abbondante. La vita, misurata in dita, è sicuramente più romantica. Provando a recuperare un resto di tabacco dalla busta vuota, iniziavo a sfogliare "Libero chi Legge" e pensavo due cose decisamente importanti. Entrambe legate al libro che avevo in mano, allo splendido viso di Nanda Pivano in quarta di copertina e a quello che ha fatto. Ricordo ancora di aver letto tutti i coccodrilli usciti il giorno dopo la sua scomparsa seduto in una pineta ai bordi del mare di Sardegna, fumando per rimettere a posto il magone che saliva impietoso. Era quasi un anno fa, tornavo da San Francisco dopo aver passato un pomeriggio a respirare la vita della City Light Bookstore, e sentivo forte un senso di gratitudine profondo, vero, bellissimo. "Libero chi legge" è l’ideale biblioteca di una straordinaria donna che ha incontrato straordinari uomini, spesso protagonisti di uno straordinario disagio, ma mai stanchi di raccontare, denunciare, dipingere, raccogliere, la vita in tutte le sue forme. Adoro i cataloghi di libri, perchè raccontano tanto della persona che li mette insieme e li riassume. Sono molto di più di una fotografia all’anima. Tanto adoro leggere quanto odio consigliare ciecamente libri. Perchè in fondo, il consiglio cieco è come una parola buttata al vento. Un libro è un piccolo pezzo di vita, si lega a un periodo, ne prende le pieghe, lo ricorda. Sono pochi i libri brutti che ho letto, sono tanti quelli che magari mi sono finiti in mano nel periodo sbagliato. Così, leggendo le prime pagine e maledicendo la copertina rigida, mentre aspettavo il sonno ho pensato che forse l’eredità più bella di Fernanda Pivano è nella richiesta di non smettere mai di scrivere d’amore, di vita, di storie che parlino veramente di quello che succede fuori. Ma, per indole e per carattere, non sono mai stato propenso alla denuncia. Aspetto che le cose mi passino sopra, per lasciare un segno. Poi scrivo di quel segno. Il fatto che la Fiat voglia spostare la produzione della Multipla in Serbia mi ha toccato. Perchè mi tocca leggere le storie delle persone che perderanno pezzi della loro vita. Ma non ne sarò mai testimone, perchè non mi tocca direttamente. E poi, cazzo, il problema sta a monte. Produrre un auto come la Multipla è come dipingere un quadro brutto, scontato, opaco, senza senso. Qui, al massimo, uno scrittore attivo, dovrebbe scervellarsi per capire come sia possibile progettare una macchina brutta, sgraziata, idiota nel progetto come nell’aerodinamica. Ma tant’è. Avere un presidente malato di figa e di soldi non mi tocca. Mi tocca lo squallore umano degli adulanti seguaci, che ovviamente sognano un mondo pieno di figa e soldi per tutti. Ma ho dismesso la rabbia quando ho visto la risposta alla figa e ai soldi, in facce pallide di flacidi ex sovietici che alzavano lo stendardo di un popolo che non è flacido e pallido burocrate come non è malato di figa e schiavo dei soldi.

Sul consigliare di leggere, sullo spronare a trovare nei libri le risposte, magari scritte cent’anni prima, non smetterò mai di spendermi. Per questo regalo solo libri, per questo cerco sempre di continuare a leggere.

Sicchè, arrivati a una manciata di ore dalla partenza per lidi atlantici, lascio qualche breve suggerimento per il popolo bovino. Trattandosi di libri da spiaggia, si va sul mio genere preferito.

Partendo dal fatto che un Sedaris qualsiasi (forse però il più balneare è "Me Parlare Bello Un Giorno") è ottimale, e anche un Baricco qualsiasi fino a Seta, ovvero fino a quando faceva lo scrittore e non il celebratore di se stesso (quindi Oceano Mare, Seta e Novecento), mi preme però dare un tono alla selezione: ovvero, se avete voglia di un libro sorprendente, fresco come un rhum cooler, allora bisognerebbe stare su Kary Mullis ( "surfando nudi nel campo della mente").  Se sentite la mancanza di CSI, NCSI, CSI Miami, CSI New York, CSI Barletta, insomma se Sky vi ha piantato in asso o se state andando in Sri Lanka e li Sky non c’è, ma avete forte il bisogno di una storia con le palle, Josh Bazel ("Vedi Di Non Morire") è perfetto. Se volete una storia bella come San Francisco e strana come i suoi abitanti, "La Famiglia Spellman" è perfetta. Se vi manca da morire La Signora In Giallo, allora Fred Vargas ha un senso nella vostra valigia. Se volete stupire gli amici con una storia di viaggio incredibile, ma state sotto l’ombrellone in quarta fila a Cesenatico, Giorgio Bettinelli ha scritto per voi (ed è anche morto per voi). Se siete donne, e amate postare su Facebook frasi di Fabio Volo, smettete di leggere Fabio Volo. Provate con Tropper, che ha scritto dei libri perfetti per voi, e anche per noi che ci sorbiamo i vostri profili di Facebook senza colpo ferire. Se siete donne, ma su Facebook preferite farvi i cazzi vostri, smettete di leggere Fabio Volo. La Signora mi ha portato a conoscenza di Licalzi, che è fresco come Volo ma se la tira di meno ( o almeno credo). Poi, per dare una spinta al mercato editoriale estivo e per rispetto ai commessi del Mondadori Multicenter che crepano dentro una camicia rossa d’ordinanza per aspettare voi, compratevi anche Dave Eggers, oppure Fante, o anche "La Versione di Barney". Cazzo, Barney. Lo rileggerei adesso.

Io ho comprato sette libri con la copertina rigida, fottendomene della legge naturale per cui un libro con la copertina rigida è intrasportabile in spiaggia, scomodo da tenere, e costa sempre di più. Al mio ritorno aggiornerò Anobii, e forse sarò anche più intelligente e bello dentro.

Life is short fritz. Surf it.

E se poi fosse tutto vero?

In realtà ieri, dopo aver percorso 200 kilometri di autostrada senza subire noiosissimi ammassi di lamiere e uomini fermi, pensavo davvero di essere felice. Poi ho bevuto una birra fredda, perfettamente fredda, di quella freddezza perfetta che solo le birre sanno avere, davanti a una luna piena, pallone giallo in mezzo al cielo terso. E ho pensato di essere davvero felice. Poi ho guardato il cielo, sentendo l’aria fresca arrivarmi dolcemente addosso, e mi sono acceso una sigaretta pensando a tutte le cose che mi hanno fatto felice, ed ero felice. Poi ho iniziato a respirare lentamente, alzandomi e camminando verso casa. E tutto mi sembrava bello, delicatamente bello. Poi ho mangiato la pizza. Sono quattro giorni che mangio pizza. Se le mie parti molli destinate alla digestione potessero parlare, sicuramente organizzarebbero un sit in contro la mozzarella quadrata da pizza, ma forse contro la pizza direttamente in toto. Eppure, mangiando la pizza, ero felice. Forse, ho dubitato per un secondo, potrebbe essere la pizza ad essere la causa diretta della mia felicità. Forse l’antico impasto è una specie di elisir di felicità. Ma poi ho pensato che la mia felicità, indirettamente non era dovuta dalla pizza ma da tutto quello che sta intorno alla pizza. Che poi si chiama vita. Anzi, probabilmente il continuare con questa dieta potrebbe portarmi a morte certa. Pizza con il cotto, doppia mozzarella, tutti i giorni. Ho anche, a oggi, una certa cultura sulla pizza di zona. Che non centra nulla con il discorso sulla felicità, ma nella mia zona ci saranno almeno dieci pizzerie. Alta, bassa, unta, con passata scadente, senza origano. Sono una specie di guru della pizza di Milano Est. Un po’ perchè la Signora è allergica all’uso dei pensili da cucina durante il periodo estivo, un po’ perchè io di mia spontanea volontà non farei mai nemmeno un insalata. Quindi pizza. Beh, insomma, ero felice. Sono anche felice. E quando sei felice, guardi indietro, girando appena il collo, e trovi che tutto quello per cui ti sei dannatamente sprecato, soffrendo come un cane, alla fine è arrivato al suo piccolo momento di felicità.

E, nel silenzio della notte, guardi fuori dalla finestra aperta, ascoltando il respiro di tutta la casa che dorme in pace, e trovi tutto illuminato dalla luna. E pensi a quanta cazzo di pizza hai mangiato. Poi pensi che forse si può morire di pizza. Poi, il respiro torna calmo, e segui una nuvola passare lentamente, fino alla fine della finestra. E se poi fosse tutto vero?

 

Caracollando verso sud ovest sud

Il navigatore satellitare è stato un notevole upgrade nella mia bieca vita professionale.  In primis fu l’aria condizionata. Venivo da migliaia, decine di migliaia, di kilometri a bordo di una Punto Bianca senza aria condizionata e senza radio. Alla radio sopperivo con un Walkman e una scorta biblica di batterie stilo. Ti accorgevi di dover cambiare le pile quando la voce di Freddie Mercury, in Live at Wembley 86, diventava sempre più profonda e lenta. "ai wuont to brek fri, aaaaiiii woooooouooouuunnnnnnt toooo breeeeeeeek freee". Sopperire all’aria condizionata è stata sfida decisamente più ardua. Si trattava di arrivare dai clienti, dopo le 11, in evidente stato di avanzata sudorazione, con gravose macchie sulla camicia e un piccolo rigolo colante dalla basetta. Anni di stradario, cartine, mappe e guide. Anni di intuizioni sulle strade, provinciali senza uscita, sterrati per le cascine, per finire dritto a un metro da un piccolo plotone di mucche, deviazioni fantasiose. La spensieratezza dello stradario. Poi un giorno fu Tom Tom. Un oggetto che ti porta da un punto a un altro punto, ben definito. Un miracolo. Il risparmio di tempo è stato talmente radicale da essere difficilmente misurabile. Arrivare a Firenze, in Via Dell’Oca 4, senza fermarsi in quattordici bar, tre edicole e da due vigili, chiedendo dove fosse Via Dell’Oca, è stata una vera rivoluzione. L’oggetto, ingombrante, bruttino ma solido, ha fatto la sua storia per quattro orgogliosi anni. Non so bene cosa mi abbia spinto al tradimento del mitico Tom Tom. Prezzo, comodità, pigrizia. Lo ignoro. Anzi, causa del mio male, piango me stesso: già in California avevo provato la tragicomica solitudine intellettuale della bieca concorrenza. Procedere verso la rampa, affiancarsi a destra, alla rotatoria girare sulla strada provinciale, sono frasi nonsense che nel mondo Tom Tom non esistono. Lui ti porta, con decisione, a drastiche manovre: fare inversione a uuu. Girare a destra. Prendere l’autostrada numero. Invece, la bieca concorrenza, sembra navigare in un indefinito oceano di strade in cui, a naso, si può procedere per grandi direttive.

Il peggioramento è stato drammatico. Ma alla fine, oramai, passo troppo tempo in aereo per aver voglia di cambiare navigatore.

Ieri, in un torrido pomeriggio di luglio, il mio navigatore della bieca concorrenza, che si vanta di non perdere mai il segnale, mi ha portato nei sobborghi dei sobborghi della provincia della periferia, in mezzo a una grande distesa di girasoli, tutti girati di spalle. Mi ha fatto svoltare in una piccola strada con un grande olmo all’angolo. Mi ha fatto andare avanti, tra cascine e asfalto bucato. Lentamente il bitume lasciava spazio a un non meglio definito terriccio bianco. Un grande polverone mi inseguiva, inghiottendo la macchina ad ogni frenata. Poi un casolare, poi più nulla. Lo splendore delle colline. L’illusione del silenzio, il sole a picco, l’ombra decisa di qualche albero.

scarsa ricezione satelliti.

Lapidario, mette una schermata bianca. In mezzo al nulla.  Rallento, la polvere mi raggiunge. Abbasso il finestrino, spengo la radio, mi ritrovo dentro un concerto per cicale.

Scarsa ricezione satelliti

poi una nuova schermata.

Procedere verso sud ovest sud.

Una rotta. Non una strada. Una direzione sommaria. Io odio gli scout. Ma ammetto che trovare i punti cardinali guardando il sole è cosa necessaria. Forse, avrei anche potuto cercare il muschio sulle rocce, che cresce a nord, e girare la macchina di qualche grado a ovest, dove tramonta il sole. Ma poi ci penso: due volte sud vorrà dire un sacco sud, oppure un po’ sud. E poi la strada, decisamente, va dritta come è sempre andata.

Allora riparto, piano, lasciando che la nuvola mi stia sul vetro, ascoltando le cicale. Magari non verso sud ovest sud, ma sulla strada.

Un ora di campagna per arrivare in una frazione di una frazione di un comune dal nome di un santo.  Pensavo a come sia bello perdersi, pensavo a quanto sia bello avere un Tom Tom.

 

Banana e altri problemi risolvibili con la bocca

Questa sera ho deciso di occuparmi di alcuni problemi della mia vita e risolverli. Non ho molto tempo, perchè vorrei andare a letto prima del notiziario CNN South America. Ho scoperto, l’esperienza di anni di tv via cavo negli hotel, che il notiziario CNN South America è molto più soporifero ed efficace di alcool, droghe pesanti, libri, camomille e donne noiose. Caso vuole che sia approdato nella mia stanza con largo anticipo rispetto alle mie rigorose e paranoiche abitudini. Solitamente arranco verso la porta, entro, abbatto vestiti e scarpe con voluto disinteresse e mi abbandono a letto. Poi decido di fumare l’ultima sigaretta, dare un’occhio alle mail, lavarmi i denti e cercare di leggere. Finisce che mi lavo i denti e due secondi dopo mi addormento con il libro sulla guancia sinistra, cercando di leggere per induzione termica, assorbendo i caratteri dalla pagina direttamente sulla facciona. Oggi no. Un aperitivo finito in una mezza cena, due bicchieri di rosso, fresco, davanti al Palazzo Reale. Chiacchiere sommesse guardando il cielo. Poi un temporale estivo ci ha fatto correre. Erano anni che non correvo per evitare la pioggia. Romantico, magari non in giacca e cravatta con il tuo capo. Ma romantico. E così mi trovo in camera; io, la mia birra, uan felicissima serie di brani casuali, lampi e tuoni rumorosi, il rumore della pioggia che copre la musica. Era da tempo che mi portavo dietro alcuni gravosi problemi esistenziali e questa sera ho deciso di risolverne alcuni nel minor tempo possibile, per fare spazio ad una nuova lunga serie di fastidiosi quesiti sull’uomo e sulla vita. Ho imparato con il tempo a capire il valore di una domanda posta nel modo giusto. Anni di negoziazione con pessimi individui mi hanno reso capace di fottere anche me stesso. Così, al posto di cadere nel rovinoso tranello di chiedersi perchè mai io non abbia pubblicato un libro, mi pongo la domanda nel modo giusto: perchè non avete mai comprato il mio libro? L’importanza sta nel non aspettare la risposta, procedendo spediti verso la soluzione a tutti i problemi. Solitamente giugno è il mese peggiore per il mio rovinoso rapporto con il mondo. Godendo inaspettatamente dell’estate in tutte le sue forme, risorgo mentalmente e osservo il mondo con rinato spirito critico. Il picco peggiore è solitamente a metà dicembre, quando smetto di interessarmi agli altri esseri umani, aspettando natale con la passività di un bonzo. Perso in mezzo a una pericolosa scollatura, mentre viaggiavo in metropolitana, pensavo al valore della massa muscolare nella selezione del maschio. Insomma, arrivo anche io alla prova costume. Dato che ho sempre la stessa pancia, da quasi dieci anni, passo agevolmente oltre evitando iscrizioni last minute in palestra. Però penso sempre a quella crescente massa di esseri umani che confidano nell’espansione delle loro masse muscolari, come veicolo di approvazione sociale e come mezzo per riproduzioni sessuali approssimative, passano lunghi inverni assiduamente concentrati sullo sviluppo di masse magre, circonferenze eccetera. Adoro il loro modo di avere un tricipite gonfio come un passaporto umano. Adoro la volontaria incisione per inserire del silicone dietro alle ghiandole mammarie. Perchè sono cose completamente scollegate dall’uso reale del proprio corpo. Nessuno degli amici palestrati e unti è costretto per sopravvivenza ad usare i propri muscoli. Nessuna è tenuta a possedere esplosive scollature per sopravvivere, se non contando il fatto che un seno grosso e debitamente in mostra alza notevolmente le possibilità di successo nella vita. Poi c’è il problema di cambiare il mondo. Cosa che avrei sempre desiderato fare, con differenti motivazioni, dalla prima liceo a qualche anno fa. Mi limito a risolvere la questione restando a guardare. Oggi, sulla Gran Via, osservavo paziente un sacco di gente accalcarsi per entrare in un negozio a comprare delle magliette in saldo. Forse ha un senso, forse io non riesco a capirlo. C’è da dire che a guardarvi da pochi metri, ci si piscia dal ridere. Poi c’è il più fastidioso dei problemi estivi. Me lo porto dietro da una vacanza in barca in Turchia. A Linate, una volta, c’era un prestigioso aereoporto, proprio dove adesso c’è quel disordinato sottoinsieme urbano che chiamano aereoporto. Lì ho comprato un disco di Zucchero. Che a un certo punto canta: "che belle scene, di lei che viene". E io mi chiedo, da anni, troppi, ma sono io che intendo la cosa in modo così diretto e basso, o è proprio Adelmo Fornaciari che voleva dire quello. Perchè in ogni caso è una frase bellissima. Sono pochi gli uomini che si fermano ad osservare uno spettacolo simile. I più hanno già finito da un pezzo. Beh, canta anche "lasciami sorridere al tuo sorriso", che insieme a "Cunilingusville, nel senso del libro"  è a oggi una delle mie citazioni preferite. Anche questa volta mi areno, impietosamente, sul problema di Zucchero.

Arriva l’ora della CNN… arriva l’ora in cui tutto si spegne.

Chiudo dicendo che fu uno dei miei primi capi, in una sala riunioni piena di fumo e di venditori, a dire: "ci sono problemi che si risolvono con la bocca ed altri con le mani. Se non rimane niente da fare, date il culo".

Filosofia aziendale spiccia. Quanta saggezza

All that she wants

E’ indubbio che stare nel centro di Madrid, esattamente nel cuore del cuore della città, abbia i suoi vantaggi. Il primo, indiscutibile, è proprio quello di essere nel centro del centro. Un vantaggio intrinseco. C’è gente, ci sono posti dove c’è gente, c’è storia, ci sono posti dove la storia ti aspetta per raccontarti un posto e la sua storia. Ci sono gli ambulanti, quelli che suonano i bicchieri, quelli che suonano i violini, quelli che non suonano ma si inventano qualcosa da suonare. Ci sono gli spagnoli, che dio li benedica. Ci sono le spagnole, che dio le benedica. Una città con un cuore che batte davvero. Un po’ come le puttane nel cuore della città, che battono come il cuore della città. Poi, volendo ben vedere, le puttane, con tutto il loro squallore umano fatto di calze di nylon e vestitini aderenti su corpi un po’ abbondanti, sandali troppo corti, borsette sporche, occhiaie e lo sguardo vuoto, ecco le puttane del centro di Madrid dovrebbero essere lontane da questo centro, da questi palazzi, da questo splendore. Ma di contro, la storia insegna, se ci sono le puttane ci sono i clienti delle puttane. Quelli non mancano mai, si mimetizzano tra le vetrine, cercando di passare sopra all’evidente e comprensibile imbarazzo. Volendo, con le puttane, si potrebbe anche togliere tutto questo frastuono umano che va avanti tutta la notte. O sei della partita, e suoni e canti, bevendo Cruzcampo gelata, oppure sei di quelli che, cazzo, vorresti morire. Stai cercando di dormire nel cuore di Madrid, con il caldo che ti blocca il cuore. Dormire. Volendo togliere le puttane e tutta questa gente ubriaca, si potrebbe anche pensare di togliere le immense zanzare che abitano il centro di Madrid. Sono meglio i piccioni di Milano. Anche perchè di notte i piccioni dormono, o quantomeno non prosciugano la vita dell’uomo che dorme, minando la stabilità nervosa girando tutto intorno all’orecchio sinistro. Poi silenzio. Poi orecchio destro. Poi silenzio. Poi sinistro. Cazzo, pungimi, dissanguami, prosciugami, salassami. Ma poi muori, ingorda. Che poi volendo, con le puttane, gli ubriaconi e le zanzare si potrebbe anche togliere l’afa. Il condizionatore della mia stanza ha gli anni che avrebbe Hemingway, ma molto meno da dire. Prova disperatamente a spruzzare aria fresca, ma il risultato è muovere l’aria bollente, creando uno Scirocco caldo che fa sudare e poi freddare. E volendo togliere le puttane, gli ubriaconi, gli insetti e il condizionatore anni cinquanta, si potrebbe anche togliere la guarnizione del rubinetto. Perde. Ma perde in modo infame. Una goccia alla volta. Dispensandole con la pazienza di un giocatore di scacchi. Inesorabile, periodica, dolorosa, la goccia cade sul lavello. Stonk. Può una goccia fare un rumore così sordo? Può. Sarà l’acqua di Madrid. Togliamo anche quella, o per lo meno il calcare dell’acqua di Madrid. E che cazzo.

Mi sono passati sopra questi giorni di sole, pioggia e sole. Mi sono passate sopra interminabili ore di lavoro, noia, lavoro. Aspetto paziente che venga fuori qualcosa. Il tempo, quando non vuole passare, fa come il mare: va un po’ avanti e un po’ indietro. Vai tu a misurarlo.  Ci vorrebbe un’unità di misura tutta sua. In birre, forse. O in sigarette.

Nel caldo, riemergono spettrali ricordi. Uno il passato, quando se lo dimentica, è perchè non se lo vuole ricordare. Per ricordare il passato, quando vogliamo, facciamo di tutto. E abbiamo tutti i mezzi per farlo. E’ quando vuoi dimenticarlo che, maledetta zanzara di merda, prima o poi ti prenderò. Dicevo, è quando vuoi dimenticarlo che non hai altro da fare che sperare che lentamente si dissolva.

Non mi resta che leggere. Aspetto di iniziare il nuovo libro di Sandrone Dazieri. Sono curioso, ma non troppo. La costante della mezza classifica, sempre in serie A, ma mai in coppa, da a Dazieri il privilegio di essere sempre comprato immediatamente, ma poi di essere messo lì. Paziente agricoltore della pagina, aspetto il capolavoro per cui ho seminato tanta fiducia.

Arrivo da una piccola, grande, delusione. Fred Vargas ha fatto il giro di boa. E’ arrivata, ha finito. Come se il buon Terry Brooks (credo si chiami così) possa essere ricordato per qualcosa oltre la triologia di Shannara (credo si scriva così). Insomma, il tuo lo hai fatto, Terry. Il resto, te lo dobbiamo, anche per non avere un’altro disoccupato sui maroni. Per la Vargas era qualcosa di più. Un crescendo di semplicissimi, brevissimi, ottimi, gialli. Anti-gialli. La dose sufficiente di francesismo, fantasia, omicidi, storie strane. Che spettacolo. E tutto va a puttane. L’ultimo libro della Vargas è un buon punto di partenza per capire cosa sia un giro di boa nella vita. Peccato. Speriamo in Sandrone, nel suo Gorilla e nella forza del sonno, perchè queste cazzo di zanzare spagnole sono peggio degli ubriaconi madrileni.

"non perderti per niente al mondo lo spettacolo di arte varia di uno innamorato di te"

 

breve, come pipino.

Alla fine mi ritrovo in un area di servizio, fermo davanti alla pompa numero 4, a guardare fuori il cielo che piange e si gonfia di nuvole incredibili. Minaccia di buttare ancora più acqua su queste campagne. C'è l'Irlanda tutto intorno. O quello che ti immagini essere Irlanda. Campi verdi a perdita d'occhio. L'anima sotto i piedi e i campi verdi tutto intorno. Intanto ti rendi conto che le pompe di benzina sono posti perfetti per restare nell'indecisione. Puoi fermarti quanto vuoi, nessuno fa domande. Pompe di benzina e miele per l'anima. Pensavo a come si possa definire uno sguardo. Quando ti aspetti una risposta a una domanda importante, cazzo, ti aspetti un suono. O sei sordomuto e allora cerchi gesti e espressioni, oppure ti basta allungare l'orecchio. E lo fai già prima che finisca la domanda. Allunghi, impercettibilmente, l'orecchio. Aspettando che arrivi un suono. Ma hai anche una piccola aspettativa, perchè in fondo tutte le domande importanti aspettano una risposta affermativa. Che cazzo ci può essere di positivo in un "ma"? Non è un buon modo di iniziare. Allora, ti ritrovi in un'area di servizio ad aspettare che il cielo rovesci il suo peggio sopra la tua testa. Non è poi così male aspettare il peggio. Sapendo che sta arrivando.

Il nuovo libro della Vargas è l'attesa fine di un mito. Potessi lanciarlo contro il muro lo farei. Ma si tratterebbe del terzo libro in pochi giorni. Ok, è difficile uscire vivi da Mullis, ma la Vargas è sempre stato un porto sicuro a cui approdare. Ma nessuno è perfetto. Fossimo tutti perfetti, non ci sarebbero le domeniche per vestirsi di malinconia annusando i gelsomini, non ci sarebbero i martedì che aspettano la tempesta d'estate.

Breve, come non mai.

Succede che

Succede che, a dire il vero succede saltuariamente, qualche individuo che passa su questo blog per qualche ragione estranea alla logica, lasci appaganti commenti. Succede che, il più delle volte, il piccolo gruppo di fedeli lettori, si limiti a fare il lurker, ovvero ad ammirare la vita degli altri senza commentare. Succede che, succede ancor più saltuariamente, qualche individuo mi scriva una mail. Tutte queste cose succedono indipendentemente dalla mia volontà. Io di lavoro leggo, rispondo, forwardo, salvo, mail. Tonnellate di messaggi, quintali di parole. E succede che io scriva per il bisogno di farlo, non tanto per lo, striminzito, campione umano di lurker che qui passeggiano. Però questa mail mi ha aperto il cuore. Mi ha fatto sentire finalmente orgoglioso di questo posto, che con onore dal 2005 porta avanti una filosofia ben precisa (?). Un messaggio che mi ha dato davvero qualcosa di più, una comprensione dell’universo e delle sue forme di vita. Andiamo con ordine: il messaggio, ricevuto venti minuti fa sulla mia casella misteriosa e privata, si riferisce all’ultimo post (ora il penultimo) qui comparso. La comprensione del senso portante dell’ultimo post potrebbe risultare facile anche a un piccolo batterio monocellulare.

La mail, laconica, concisa, stupenda, proviene da una di quelle caselle mail con il nomignolo, l’anno (di nascita, si suppone, o di scomparsa dell’ultimo neurone), chiocciolina eccetera.

Nonostante lo spazio limitato, mi permetto di citarla tutta, nella sua stoica interezza:

"Ciao, ti trovi bene con il boxer? BMW giusto?"

Caro Appassionato Lettore,

tu non sai quanto piacere mi abbia fatto ricevere la tua mail. Per rispondere a tutte le tue domande, così personali, così intime e così toccanti, mi occorre tempo. Ma la mia vita, fatta di minibar senza birra, cuscini scomodi e menù mattina, mi permette di risponderti proprio ora. Pensa che culo! Il motore boxer, come tante altre cose della mia vita, è stato una incosciente scelta folle (fatta in base al fatto che la moto fosse nera e lucida). Sai perchè si chiama boxer? Per il movimento simmetrico dei due bestioni che mandano avanti la baracca, che ricorda i guantoni in movimento di un pugile. Gli unici, e qui rispondo alla tua seconda domanda, a provare a fare una moto così sono stati i tedeschi. Il rumore, il movimento, il peso, la portanza (o tonnellaggio trattandosi di vere e proprie accaierie ambulanti), rendono l’esperienza di guidare un boxer davvero unica. Il mondo si divide in estimatori e detrattori, come per tutte le cose. Anche tu a me sembri un idiota, ma a te potresti sembrare intelligente. La spinta ai bassi regimi, il consumo moderato di benzina, l’assurdo consumo di olio, le vibrazioni tipiche di un autocarro della seconda guerra mondiale, sono prerogative che si amano o si odiano. Seduto sopra un boxer guardi il mondo dagli occhi del boxer. Potessi tornare indietro lo rifarei ancora. Perchè è dagli errori più belli che nascono questi amori incredibili. Il boxer assomiglia a un amore. La passione, travolgente, va via come il colore dopo una lavatrice impegnata (e fatta senza usare il Salvacolor). L’amore richiede sofferenza, costanza, fede e una grande voglia di rimanerci di merda di tanto in tanto.

Evasa la pratica della mail più idiota dell’anno, passo a cose ben più serie ed adatte a questo posto: il libro si chiama Ballando Nudi nel Campo della Mente. Quello che stupisce non è tanto il bel libro (in classifica, anzi nella top ten di questo 2010), ma quanto è scritto bene. Roba che non ti aspetteresti certo da un Nobel per la Chimica, campione di LSD, surfista e svalvolato genio contemporaneo. Ne caldeggio la lettura. Pare essere, mi diceva la commessa del Feltrinelli di una amena località marina, un libro molto cool per la sinistra impegnata da Feltrinelli e poi teatro sperimentale e poi Arci a ballare musiche contemporanee. Questo potrebbe essere l’unico difetto del libro. Ma si sa, l’imperfezione piace molto di più.