Diario di un Pene

Arrivo con dieci minuti netti di ritardo. So che la cosa mi costerà almeno quattro minuti di rimproveri e commenti. D’altronde non mi è stato impossibile procedere a più di trenta all’ora, nonostante la città vuota e buia, visto il freddo che si è infilato in tutte le articolazioni scoperte. Trovo mio padre seduto, armato di tagliandino con numero, campione delle urine, giornale, rosario e coppola appoggiata sul ginocchio destro. Una specie di modello di Dolce e Gabbana di ottant’anni e venticinque kili di troppo. 

– sei in ritardo

– fa freddo in moto. 

– per fortuna ho preso il numero anche per te. 

– e cazzo. Per fortuna. Non vedevo l’ora di farmi infilare un tubo nel cazzo alle sette di mattina. 

– per cortesia. Non chiamarlo così. Usa termini appropriati. 

– okkei. Desidero far presente, signor giudice, che essere infilzato nell’uretra da una cannula non è nella top ten delle cose che mi piace fare di lunedì mattina. 

– sarà breve e indolore. Fa freddo veramente. Ho dovuto anche mettere la coppola. 

E ci troviamo seduti, tra la terza e la quinta fila, insieme a un variegato campionario di esseri umani in un luminoso atrio pieno di piante, piastrelle bianche pulite a specchio e anonime porte bianche numerate. Ultimamente frequento più ospedali che ristoranti. Credo si tratti del ciclo della vita. Tiro fuori il telefono e mi annoto questa cosa del ciclo della vita, degli ospedali e di mio padre con la coppola e il rosario. Lui, imperterrito, osserva il vuoto infinito davanti a lui con il sorriso sereno di un uomo che va incontro al suo destino.

– Devi parlare meglio. Usare meno parolacce. Devi farlo per tuo figlio. E’ importante che impari un linguaggio consono alla sua età.

– A proposito, sei tu che gli hai raccontato la storia del profeta Isaia? 

– Credo di si. 

Il compiacimento è evidente. La soddisfazione brilla negli occhi. Sapere di avere un nipote che non ha ancora l’altezza legale per entrare nella piscina di palline del McDonald ma che conosce già la storia del profeta Isaia lo rende estremamente felice. 

– Penso che bastino delle storie più semplici. Tipo le favole. O se proprio vuoi, anche delle storie più articolate ma sempre basate su animali, principi, macchine parlanti. Cose del genere. 

– La Bibbia è una storia bellissima. Tutti dovrebbero conoscerla. Il profeta Isaia ha una storia piena di saggezza. 

– E’ quello che è finito nella pancia della balena?

– Quello è Giona. Dovresti ripassare. 

– difatti. 

Esce da una porta, la quarta sulla destra, una corpulenta donna di bianco vestita che urla: quattrocentosedici!

– Siamo noi

– Che bello!

– avanti, sii uomo, cinque minuti e avremo finito

Ora, sorvolando sul fatto che io sono quasi certo che il mio organo di riproduzione sia in buone condizioni, sorvolando sul fatto che sicuramente, pisciando aghi qualcosa dovrei pur avere nelle parti appena sopra e sorvolando il fatto che il mezzo di contagio è il sereno anziano che mi sta al fianco, resta comunque che farsi infilare una roba dentro un buco che, dal punto di vista maschile, non è in grado di far uscire nulla di solido, ma solo liquidi, figurarsi entrare, ecco, insomma, non sono in un mood collaborativo. 

Dentro il piccolo ambulatorio c’è una specie di poltrona di pelle, rossa, consumata dal tempo e da chissà quante mani che, disperate per il dolore, hanno stretto i braccioli fino allo stremo delle forze. 

Una volta ho letto un libro sulle torture medioevali e ho scoperto che i boia usavano infilare spighe di grano nell’uretra dei torturati provocando immane dolore. Adesso li chiamano controlli medici. Secoli di civiltà per involversi. 

– Uno alla volta

Ha anche la voce da grassona. E un doppio mento così accogliente da sembrare un cuscino dell’Ikea. 

– Siamo insieme, e dobbiamo fare gli stessi controlli.

Lo sguardo interrogativo e bovino dell’infermiera non ferma il mio sereno genitore

– mi sono permesso di prendere un numero solo. Stesso esame. Possiamo farlo anche insieme. 

– Avete fatto il prelievo?

– Perchè, devo anche fare il prelievo?

– non ancora, credevo andasse fatto prima l’esame

– eh no. Prima il prelievo, poi l’esame. Prima l’ambulatorio sei, poi il quattro. 

– mi rispondete? Devo fare anche un prelievo?

– senta signorina, chiuda un occhio. Poi andremo a fare il prelievo.

– …

– mi rispondete, cazzo? Cos’è sta storia del prelievo?

 Io mi rendo conto che nella scala dei problemi della vita un prelievo è molti gradini sotto a una malattia invalidante, un brutto incidente, un figlio elettore di centro destra e altre brutte cose. Però io ho un serio problema con i prelievi. Tendo a svenire, morire, lasciarmi andare. 

– Farò di meglio. Mi dia l’impegnativa. Facciamo prelievo e controllo insieme

– lei è gentilissima

Eh no, brutta balena di bianco vestita. Con il cazzo. In tutti i sensi. Con il cazzo che tu ti avvicini a me, che probabilmente starò a palle all’aria, con un ago e una cannula e mi penetri per ben due volte, pure contemporaneamente. 

– non credo di potercela fare

Mi ignorano tutti e due. Come si fa con i bambini. Non mi resta che sedermi sul lettino nell’angolo e aspettare la mia fine. Mi sento già svenire, con largo anticipo. 

L’infermiera ritorna, con sguardo soddisfatto, armata di due vaschette di metallo, strapiene di provette, e una serie di pacchetti sotto vuoto che credo contengano le armi della morte. 

– Ci dobbiamo spogliare, signorina?

Sembra quasi felice, mio padre. 

– Certo caro. Sia sopra che sotto.

Quando ride sembra un grosso leone marino in calore. Con quel doppio mento gigantesco che si muove ondulando. 

– Uno sulla poltrona e uno sul lettino. Così risparmiamo tempo. 

– E denaro, signorina. La Regione sarà contenta. 

Io sento che sto per svenire, ma tanto mi ignorano. Vecchia tecnica ma sempre efficace. 

– Dobbiamo prima sbrigare due secondi di pratiche. 

Mi sembra oggettivamente naturale, con due uomini con i pantaloni calati e la camicia aperta, in piedi a distanza ravvicinata, dire: dobbiamo sbrigare due secondi di pratiche. Chi non lo farebbe. Osservo le nudità di mio padre. E provo una gran tenerezza. 

– Avete avuto occasione di fare sesso non protetto, con persone sconosciute, pratiche non consuete, utilizzato strumenti non sterilizzati o fatto sesso anale?

Il sonoro no di mio padre mi sa di giuramento.

– Sulle pratiche non consuete posso dire di no. Sul sesso anale con sconosciuti usando strumenti non sterilizzati, mi dispiace, ma devo confessare. 

– Faccia, faccia lo spiritoso. Tutti uguali

– Rispondi seriamente alla signorina, che è gentile e ci fa fare tutto in un attimo.

Eh certo. gente che mi infila cose nel cazzo è gentile. Il mondo sta andando a puttane, cristo. 

– No

– Siete sicuri?

– Si

– Si

– Vi ricordate l’ultima volta nella quale avete fatto sesso non protetto? 

– credo che queste domande siano davvero personali. Non può darci il questionario e compiliamo noi?

– Mi nascondi qualcosa?

– Ma no, papà. Al contrario. L’ultima cosa al mondo che vorrei sapere è se tu hai fatto sesso anale con sconosciuti o robe simili. 

La balena-leone marino accetta. 

Scorro le domande. Io ho una buona memoria, solitamente, su come ho contratto una malattia. Inoltre ho una discreta memoria relativa all’uso del mio pene. Sommando le due cose, posso affermare con certezza di non essere io la causa del mio male. Rispondo pazientemente a tutte le domande. 

Qualche anno fa, sotto la doccia della piscina, intento alla devota pulizia del mio corpo mi sono accorto che il mio organo di riproduzione presentava le tipiche striature che si possono riscontrare nei mantelli delle bestie della savana. Zebre, per la precisione. Avevo il cazzo zebrato. Credo di essere rimasto sotto la doccia per un paio di minuti, con il tutto tra le  mani e lo sguardo di chi non se ne capacita. Ora, avere una parte del corpo a strisce preoccuperebbe chiunque. Avere “quella” parte del corpo a strisce, mi ha mandato completamente fuori di testa. Sono arrivato al Pronto Soccorso e sotto voce ho comunicato all’infermiera del triage:

– mi scusi il disturbo

– dica

– credo di avere un problema ai genitali

– ….

– insomma, il mio pene presenta delle striature. 

– si spieghi meglio

– come le posso dire, delle strisce. Come se fosse zebrato. 

– E viene al pronto soccorso?

– dove vuole che vada, con il pene a zebra?

– dico, scherziamo? Non è una patologia da pronto soccorso. Sarà un fungo, o una micosi da contatto. 

– e me lo tengo?

– ma certo che no

– e voi non me lo togliete?

– ma certo che no

– scusi, cosa faccio?

– prenota una visita dal suo medico

– non posso usare un medico del pronto soccorso, magari un esperto in peni zebrati?

– non scherzi. Se vuole le faccio le carte per l’accettazione, ma è un codice bianco. Passa per ultimo. C’è molto da aspettare.

– è pericoloso?

– Non saprei. Non l’ho visitata. Vada in farmacia e si faccia dare qualcosa e poi vada dal suo medico. 

– ma a cosa è dovuto?

– al sesso non protetto, solitamente. 

– grazie

In farmacia, terrorizzato dall’avere un pezzo di me, un pezzo importante, che si stava trasformando in un animale della savana, ho chiesto, rifacendo la stessa trafila, qualcosa per curarmi. 

Il farmacista, interessato più all’espositore di vitamine che al mio pene, senza guardarmi mi ha chiesto:

– quando è successo?

– cosa scusi?

– dico, quando è successo?

– mah, me ne sono accorto sotto la doccia. Oggi stesso. 

– no, dico, quando ha avuto rapporti non protetti?

Ed è stato lì che mi sono illuminato di una inossidabile certezza. Io ero sicuro, come legittimo proprietario del mio pene zebrato, di non aver avuto nessun tipo di rapporto, protetto o non protetto, per un lasso di tempo sufficiente per essere definito un vergine di ritorno. Forse un mese. Togliendo Laura, dio benedica ancor oggi le sue labbra, anche un mese e mezzo. 

– io non ho rapporti da tempo

Il farmacista mi ha guardato incuriosito.

– e ha un fungo sessualmente trasmissibile?

– mica me lo sono messo io. Mi sono trovato il coso tutto a strisce. 

– prenda quest’acqua borica e sfreghi energicamente. E prenoti una visita da un urologo. 

Che poi, giusto per precisare, sfregare acqua borica su un organo maschile infiammato è simile al piantare dei chiodi nelle orecchie della gente. C’è gente che lo fa, per dio. Ma una volta provato, non lo rifai di certo. 

Finito il questionario, il leone marino – balena, inizia ad armeggiare con il braccio di mio padre, che di contro fischietta allegramente. Arrivi, probabilmente, a un’età in cui anche un prelievo del sangue ti sembra una cosa talmente eccitante da dover essere festeggiata con una bella fischiatina. 

Quando è il mio turno, sento l’elastico stringere sull’avambraccio, sento forte il bisogno di scappare. Ma, dando la precedenza alla salute del mio organo genitale, decido di affrontare l’epica avventura. 

Mentre l’infermiera mi sottrae ettolitri di sangue, ho contato sei provette nella ciotola di ferro e credo che tre le tenga lei e tre finiscano al mercato nero delle provette perchè, diosanto, sei provette ci analizzi tutto il mondo, mio padre inizia quello che vorrebbe fosse un botta e risposta

– questa cosa delle domande sul sesso è divertente

– non riesco a parlare. Dracula mi sta drenando la vita

– cioè, sono domande che, forse, ti avrei dovuto fare anche io

– tu credi?

– beh, non abbiamo mai parlato di sesso, esplicitamente

– vuoi iniziare tu ottantenne io trentacinquenne, sdraiati in un’ambulatorio di una clinica di ebrei mentre ci facciamo infilare aghi ovunque?

– chi è stata la tua prima donna?

– papà, ti prego

– fate pure come se non ci fossi. Sono discorsi interessanti. Nel frattempo se il senior desidera, ho della pomata anestetica da mettere sul pene. 

– perchè solo il senior?

– lei è giovane e forte. 

– quindi devo soffrire?

– dai, non la metto nemmeno io

– da chi comincio?

– da lui. E’ il senior

– guardi che poi tocca lei comunque

– ridimmi il nome di quella tua fidanzata del liceo?

– Gaia?

– Eh, Gaia. Quella bassina, con le treccine, ahia. Che sorrideva sempre, ahia, piano signorina

– abbiamo finito

– quella con gli occhiali e le treccine

– quella è Giulia. Che poi è rimasta traumatizzata perchè tu l’hai chiamata Gaia. 

– Ah. Gaia è quella prima. Mora, bassina.

– Si.

– E’ stata Gaia la tua prima volta

– Lei vuole veramente dirmi che crede di potermi avvicinare con quel coso puntato sul mio pene, senza che io sia addormentato? 

– Avanti, che suo padre non ha detto beh. 

– Rispondi, è stata Gaia?

– No. Ahia, Cristo santo che male cazzo. 

– Modera le parole. Ma dai! Non è stata Gaia. Allora sei stato un buon pianificatore. Mi rivesto signorina, vero? Uno che ha capito che era quella sbagliata e ha aspettato. Bravo. Non lo avrei mai detto. 

– Mi sono fatto una sua compagna, su una spiaggia ubriaco, durante le vacanze della maturità, mentre a lei dicevo che la stavo aspettando per il grande momento. Mi tiri via, per dio, quel coso dal cazzo! Ora basta. 

– Che schifo

– Si, concordo con la signorina. Che schifo. 

– Hai voluto la verità? 

– Rivestitevi. E quando avete voglia di farvi una bella chiacchierata padre figlio, tornate! 

– Signorina, gli esiti?

– venerdì

– Senta, è utilizzabile il coso?

– niente sesso per le prossime dodici  ore. 

– hai sentito?

– Si papà. Sarà un’astinenza dura, in ufficio, ma ci proverò. Mi raccomando anche tu. Io mi riferivo alla normale attività. Pisciare non mi sembra ne peccato ne reato.

– farà fastidio, ma passa.

 

Uscendo ci siamo seduti in un bar, appena aperto, sull’altro lato della piazza. 

– Dovremmo parlare più spesso, io e te, di cose di uomini. 

– Dovremmo parlare di più io e te fuori dagli ospedali. E’ un’estate che ci parliamo solo mentre abbiamo aghi infilati nelle braccia. 

– in effetti si. Credo, in ogni caso, che tu debba delle scuse a quella ragazza. 

– A chi, all’infermiera?

– A Gaia

– A Gaia?

– Per aver tradito la sua fiducia. Per le donne è importante. Hai fatto una cosa deplorevole e anche se è passato del tempo, puoi chiederle scusa. 

– Papà, sono passati vent’anni. Quando ci stavamo lasciando, Gaia è uscita  con quasi tutto l’elenco telefonico di Milano, è sposata, io sono sposato. La chiamo e le chiedo scusa?

– il perdono è eterno

– hai ragione

– mi dai la ragione che si da ai matti. 

– no, forse hai ragione tu. 

– Spero ti sia servita da lezione. Fatto una volta, mai più fatto. Così lei almeno è stata utile a quelle venute dopo. Poveretta, ha sofferto per le altre donne della tua vita. 

– …

– Parliamone più spesso. Sono curioso della tua storia. Anche perchè poi, fatto un errore così madornale, avrai fatto di meglio con le altre.

Guardo il tram passare lento nel traffico del mattino. Bevo un sorso di caffè. E’ come se avessi una graffetta infilata in mezzo alle gambe. Mi accendo una sigaretta. Faccio un tiro. Mi attraversano gli occhi le donne della mia vita. E i casini della mia vita. E l’inconsapevole certezza di aver avuto, sempre, ragione io. 

Che poi è il motivo, forse, per cui è meglio che tu tutta la storia non la sappia mai, papà.

Lo penso mentre lo saluto e lo vedo andare via, zoppicando, con in testa la coppola bordeaux. Un must, per un piacevole lunedì mattina. 

 

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