Partendo dalla fine, possiamo dire che l’uscita di scena è stata degna dell’importante titolo di "sesto membro della famiglia" conferitole da mio padre qualche anno prima. In verità, La Micia, di questioni nobili non deve esseresene fatte troppe. Non vedendo più mia madre per casa ha semplicemente smesso di mangiare e ha iniziato a piangere ai piedi del letto vuoto con un lamento basso e continuo, una specie di tantra. Contestualizzando il periodo, si può dire che io e mio padre, uomini di roccia, avevamo le capacità emotive decisamente sotto tono. Ci bastava guardarci per piangere sommessamente. In questo allegro e sereno clima, il gatto che si lamenta sei ore al giorno lasciandosi morire ai piedi di un letto era solo un sapiente tocco di un regista polacco neo realista. La Micia incarnava già nel nome le sue innate doti creative. Di felino aveva mantenuto solo le grasse sembianze. Assomigliava a una coperta riscaldata della Beghelli. I suoi movimenti erano ridotti allo stretto necessario per mangiare, dormire, pisciare e ricevere le dovute attenzioni da parte di mia madre, unico membro della famiglia al quale erano riservate delle espressioni di tenerezza. Alle mie scarpe da tennis era conferito il prestigioso e selettivo premio "vomitino nella scarpa", mentre le mie felpe da sfigato rapper padano erano oggetto di eccessive attenzioni e venivano sapientemente dilaniate. Con queste premesse, la nostra relazione non è mai decollata. Anzi, per dimostrarmi il massimo disprezzo, era solita scendere dal divano quano mi ci sedevo io e uscire dalla cucina quando entravo io. Con la nascita del primo, paffuto, scandalosamente biondo, nipotino, La Micia è passata in secondo piano. Per rispondere al calo di share, la sua campagna è stata pragmatica e concreta. Un advertising molto semplice, consistente nel pisciare per tutto il perimetro del corridoio, e una campagna media incentrata sulla distruzione di tutti i soprammobili accessibili, tra cui l’orrenda zuppiera di porcellana retaggio di qualche zia zitella, che come un trofeo accoglieva gli ospiti all’ingresso. Di tutta risposta mia madre, troppo nobile e innocente per capire il sadico movente, cominciò a supporre strane malattie, tutte confermate dal veterinario, che iniziava grazie a noi l’hobby delle cabrio. La Micia diventò quindi intoccabile, malata immaginaria ma con una cura molto reale. E’ stato solo il rischio di finire la vita a prosciutto magro e latte, che ha misteriosamente guarito l’animale. Perchè pur di tornare alle crocchette Friskies, smise misteriosamente di pisciare come una fontana e si disinteressò della paccottiglia immobiliare.
Ecco, da questo vissuto, e dalla convivenza con Pascal, splendido golden retriver, ho capito definitivamente di essere dalla parte dei cani. Del cane non amo solo l’immortale eleganza, la curiosità e la territorialità. E’ la fedeltà che mi ha sempre lasciato di stucco. Credessi nella reincarnazione, mi sollazzerei con la certezza di essere stato un labrador di qualche nobile inglese di inizio secolo. Pascal era dotato di tutto tranne che della parola, come è consuetudine tra i cani. Ed era estremamente comprensivo, quando lo costringevo a lunghissime uscite per pedinare qualche mio amore eterno dell’epoca. Fungeva alla perfezione come arma da baccaglio. Si avvicinava alle ragazze, seguendo il mio medesimo criterio di selezione, e scodinzolando mi aspettava. Questo è quello che mi è venuto in mente ieri, mentre con la Kaffettiera Panzer attraversavo Milano sotto il trailer del Diluvio Universale. Volevo scrivere qualcosa sulla fedeltà, e nel mettere insieme le idee nel cervello inzuppato mi sono venuti in mente cani e gatti. E il mio essere dalla parte del cane, in qualche modo ne ho la certezza, è anche dovuto al mio essere più cane che gatto. Troppa carne al fuoco per un venerdì, mi limito ad assecondare il flusso, senza più la speranza di scriverci un beneamato cazzo. Se fossi stato un cane avrei voluto un nome del tipo Sansone. O anche Tiberio. Uno pensa di scrivere un racconto, e per di più sulla fedeltà, e si trova in mano il nome di un cane.
Deciso, lo chiamo Tiberio
dirò solo una cosa, che riassume tutto…
FILIPPO.
sei talmente pezzo di merda…che devi essere anche laziale…
(svissera a dire il vero 😉
Tibero è un bel nome, mi piace 🙂
(cmq il mio animale preferito è la gallina)
…poi la volgarità lascia un po’ il tempo che trova.
lo sai elio cos’avrebbe detto, vero?
Quì da noi sei diventato famoso in un giorno solo e in molti abbiamo collezionato le tue foto e tante altre notiziole…
anche qui sei famoso…
sei famosissimo…non ti dimenticheremo mai….
felpe da sfigato rapper padano :))
Per esigenze di spazio ho dovuto accontentarmi di un gatto, ma tanto amo i cani che lui lo è diventato. A dire il vero io fin da piccola desideravo un lupo. Più fedele di quello.. :-” NIKKA
per el presidente:
hai visto le foto su La Repubblica del Sud Africa?
bacio
l.s.
Allora Signori….vedo che continua a esserci molta confusione qui, va messo un po’ d’ordine.
Domani MERCOLEDEN ufficiale di rientro.
L’elegante
io ci sto. ovviamente
Voi che gli siete vicini, su, ditemi che fine ha fatto il Nostro.
ditemi che non è stato -come il silenzio di queste ore induce purtroppo a ritenere- sequestrato dagli indipendentisti isolani e trasformato in mangime per porceddu…
buono il purceddu…
Miao!
Io sto dalla parte dei felini, invece. Sarà che sono il loro idolo, e che ad alcuni manca solo di abbaiare per ottenere l’attestato di Fedele dell’anno.
Ciauz.