Come controllare la rabbia – disoccupazioni

È un peccato che io, delle cose incredibilmente dolorose, degli episodi disastrosi della mia vita, poi mi ricordi solo la rabbia. Sorda, enorme come un mare in tempesta, pronto a mangiarsi la riva, minaccioso. La mia rabbia sembra un mostro, e a tutti gli effetti è una cosa molto simile a una tempesta, di quelle che rimangono un po’ inespresse, quei cieli neri sul mare che arrivano da Ovest, con la schiuma bianca che si gonfia, l’aria che diventa pesante, l’innaturale silenzio gonfio di umidità. Va meglio ai pesci, che galleggiano nella corrente, va male alla spiaggia, ma quello che ci guadagna meno è proprio il mare, che raccoglie tronchi, spazzatura, merda e casino.

E il mare sono io, cazzo. Capisci, non mi conviene la tempesta.

Per questo stamattina ho provato tutte le strategie che conosco, per arginare la tempesta , per tenere a bada il vento, per controllare il mare. Albeggia quando mi sveglio di colpo. Mi sveglio di colpo all’alba da novembre. E non esiste niente di più noioso che svegliarsi all’alba di scatto, e sentire la rabbia salire. Cazzeggio un’ora buona, facendo il giocoliere con i pensieri. Ho il cervello che sembra un circo, e sono un pessimo domatore. Mi alzo, mi vesto, esco. Il freddo, finalmente pungente, batte forte sulla faccia. Entro in palestra con l’unico desiderio di restare sul tapis roulant per un tempo infinito. Il mio obiettivo è arrivare a non sentire le gambe. Corro ansiosamente, guardando fisso il tizio davanti a me, che suda solo da un lato.

La corsa mi aiuta. Certo, correre in un prato sarebbe meglio che correre dietro a un tizio che suda solo da una parte, con sullo sfondo un muro sporco. Ma ci si adatta.

Sembra calare, la tempesta. Mi asciugo nello spogliatoio mentre tutto si fotografano allo specchio. Gli uomini, negli spogliatoi delle palestre si fotografano contraendo l’addome e guardando con occhi languidi lo specchio. Chissà dove finiscono tutte queste foto, di petti nudi e contratti. Di occhi pieni di desiderio. Mi guardo la pancia, forse potrei farmi delle foto anche io.

Prendo un caffè, mi cucino due uova, leggo il giornale, tutto sembra sotto controllo. Appena prendo lo scooter, la rabbia si impossessa di me. Sono ondate, di una mareggiata crescente.

Ma riesco a controllare, il mare, il vento, la tempesta. Più che altro perché davvero voglio assaggiare tutta la tristezza e tutta la paura.

E così passo una giornata davvero di merda, con un pesante cappotto di tristezza e una benda sugli occhi che stringe, la paura. Cammino lento portando in giro questo personaggio che sembra uscito da un film muto, in un pomeriggio di sole inaspettato. Mi siedo su una panchina e sento il sole timido che mi accarezza.

Ripenso all’ultima volta che la mia testa ha sentito una carezza, quando c’era il bisogno. Devo arrivare a me bambino, devo correre indietro in una Milano vecchia, nella casa con la tappezzeria nuova e i mobili ingialliti. Sento la mano di mia madre. Come miele.

Però, alla fine, non mi sono arrabbiato.

Sto al locale, nascondendo la tristezza in mezzo a chiacchiere facili. La paura si è sciolta nel primo bicchiere di vino, un primitivo dolce e rotondo. La rabbia è calma all’orizzonte. Resta lì, come le nuvole infinite sopra l’Adriatico, che non arrivano mai, ma sembrano pronte a farlo in una manciata di secondi.

È mezzanotte quando esco. Sono disoccupato, non dovrei avere fretta. Cammino piano, l’aria è pungente, le stelle, cazzo ci sono le stelle a Milano.

Devo farmi i complimenti. Lasciarsi bendare dalla paura, e camminare con il peso della tristezza, che poi sembra un’idea del cazzo, mi ha dato per la prima volta il sapore vero di un dolore. Senza che la rabbia spazzasse via tutto. È un peccato dover invecchiare così velocemente quando scopri questi trucchi da quattro soldi.

Arrivo sotto casa e, ovviamente, mi domando se valga la pena salire. Sento la paura, ci posso convivere. Invece la tristezza la appoggio sul cestino davanti al portone, proprio sopra un sacchetto con una merda di cane. Domani so che la troverò li. Ma peserà meno. Mi si saranno abituate le spalle.

E non sono diventato tempesta, che è un bene.

Oggi, in tutto questo, ho messo i miei boxer preferiti. Quelli che spero sempre vengano strappati con i denti, ma che poi non succede mai. Li ho messi perché quando balli con la rabbia, la tristezza e la paura, sarebbe un peccato non essere eleganti.

Nudo nel letto, penso che si, domani peserà meno la tristezza. Ma forse puzzerà di merda. Maledetti cestini pieni di merda di cane.

Se riesco domani faccio spazio nell’armadio per tutte queste nuove emozioni. Butto via un paio di cose.

Così è andata, la prima volta nella mia vita che mi hanno licenziato. Speriamo sia l’ultima, o perlomeno la penultima.

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