Cucinare torte nudi

Ho scoperto che i cinesi fotografano il sole, che le ragazze bionde del Nord Europa si fanno le foto davanti alle vetrine sorridendo, che i poliziotti in borghese si beccano facile. Sono cose che ho scoperto camminando, come la coda tutte le mattine davanti al negozio Swatch, o la musica assordante del negozio di intimo. Ormai ho una certa età, non posso nascondermi dietro la poesia: cammino perché sono un barile di stress, ricolmo come i barili lasciati sotto al temporale. Allora ci metto la valeriana, le camminate, e le liste di desideri, le cose che vorrei fare che se morissi domani potrei dire a Dio: bel giro grazie.

Cucinare una torta nudo è una cosa che sogno almeno una volta alla settimana. La torta è di carote, burrosa, ci va messa una glassa bianca e poi una salsa di yogurt. Io non ho mai cucinato una torta di carote, ma immagino si facciano tagliando le carote, aggiungendo zucchero, uova, latte, farina, scorze di limone. Non ho una ricetta da seguire nel sogno. E il mio corpo è caldo, appoggiato su un pavimento di cotto scuro.

Sogno anche di pescare, pesci piccoli e difficili da prendere, immergendomi vicino a una costa che non riconosco ma che assomiglia alla costa ligure.

Non sogno molto altro, spesso mi sveglio alle cinque. Ascolto i respiri della casa, il ritmo del sonno di tutti, sento la strada sotto le finestre ancóra silenziosa, provo a riaddormentarmi pensando a qualcosa di piacevole, ci riesco appena suona la sveglia, allora mi trascino in palestra e rimedio facendo workout in una stanza piena zeppa di fisici molli e forze di volontà deboli.

La sera provo a chiamare qualche amico. Sono tutti presi dalle loro vite, come io dalla mia. Se nessuno risponde, cammino intorno al parco immaginando cosa mi piacerebbe fare nella vita.

Tipo partire per la Tunisia e restare un paio di mesi. Ma poi forse no.

Smettere di fumare, ma le mie scarpe gonfie di rabbia e delusione hanno bisogno di spegnere ancora molte sigarette.

Provare a cucinare una torta nudo.

C’è una donna, in quella cucina. Non riesco a riconoscerne i lineamenti, vedo il seno, un po’ cadente, sento la sua altezza quando mi abbraccia alle spalle, ne riconoscerei il profumo che sento nel sogno.

Certo è che non è facile, girare la città con una torta di carote in mano chiedendo a donne basse e more di spogliarsi per annusarle.

E non sarebbe nemmeno corretto.

Così finisco in ufficio, distratto da qualcosa, ad accorgermi delle gocce che fanno traboccare il barile, e mi tocca uscire a camminare. A osservare i cinesi, le norvegesi, gli sbirri, l’umanità.

A volte entro in una chiesa dove c’è una madonna molto arrabbiata che mi guarda da un quadro immerso nei ceri.

Insomma c’è un sacco di gente che prega questa madonna incazzata.

Resto seduto su una panca, per qualche minuto. Prego, sussurro preghiere di compassione, non me la sento di menarla alla madonna incazzata con i cazzi miei, allora prego per mio figlio, e mi trovo a nuotare nel suo futuro, come lo immagino io, questo fiume calmo che lo fa scivolare sereno.

Sto scrivendo un romanzo bellissimo. La storia è bella, i personaggi sono veri, li puoi sentire parlare vicino a te mentre leggi. Ma non riesco a trovare un cazzo di finale. Ne ho uno in tasca, ma non funziona. Non si attacca. Che palle.

C’è una scuola, in centro, dove le mamme prima di fare yoga e trattamenti portano i bambini biondi e pronti al successo, e proprio davanti c’è un portone con un citofono. Uno dei cognomi è Capitale. Sotto, due pulsanti sotto, c’è scritto Mare.

Mi sento solo, insomma. Niente di speciale, è semplicemente vita. Un po’ più salata del solito, quindi brucia un po’ di più, ma è vita.

Solo che mi sento solo. E non mi ero mai sentito solo. Per questo leggo citofoni.

Ho pesi e fallimenti da condividere. Ho paure e insicurezze in promozione. Ho storie losche e infelici raccontate a bicchieri di prosecco che sono testimoni silenti. Ho futuri insicuri e passati turbolenti.

Ma voglio solamente qualcuno con cui cucinare torte nudi.

Il mio modo per dire, qualcuno con cui condividere sogni.

Come per il mio libro, non sono bravo sui finali. Ma quelli si possono scrivere dopo.

La torta, vorrei fosse di carote.

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