È un periodo che, così come succede tutto, alla sera arrivo sul divano, e penso: che bello sarebbe scrivere sul mio diario. Ma poi non scrivo niente. Che, se ci pensi, è come se non fosse successo niente. Se non lo scrivi, se non lo ricordi, non è successo.
Così mi sembra che la vita non mi succeda. Eppure, oddio come è bello usare eppure, eppure dicevo la vita succede eccome.
Ho il dubbio, feroce, di perdermi i particolari. Invecchiando ho notato dei peli bianchi, isolati, sul petto. Immagino i miei peli lottare, quelli neri, con quelli bianchi. Isolarli. La supremazia dei peli neri. Vedo meno da vicino. Prendo i vasetti di marmellata e li devo allontanare, tutta la lunghezza di un braccio, per controllare quanto zucchero, che frutta, quando scade. Mi dimentico il numero dell’ armadietto della palestra. Tutte le mattine. Insomma perdo particolari. I dettagli mi sfuggono. Allora ho imparato a stare in silenzio, e fare memoria dei particolari. Mi ripeto, a mente, le cose che succedono. Così ho la sensazione di non perderle.
Che poi, la sensazione di perdere cose, è il presagio della morte. Oggi ero a teatro con mio figlio, a un certo punto, nella sala buia lo ho guardato. Era immerso nello spettacolo. Ascoltava rapito. Sorrideva alle battute. E io ho pensato: stare con te allontana la morte. Io vivo, perché tu allontani la mia morte.
Che poi sono cose che non posso dire a nessuno. Mi prenderebbero per pazzo. Se dico: grazie del tuo tempo, mi allontana dalla morte.
Ma che cazzo di frase. Ma quanta verità.
Stasera guardavo i bambini giocare. Faceva caldo. Bevevo birra. E pensavo: che bello avervi qui. Mi allontanate dalla morte.
Mi salvate. Fatelo ancora. Voi, figli, voi ragazze dal culo sodo, voi libri belli, voi pomeriggi di sole, voi mareggiate d’autunno, voi vini dolci, voi pensieri lenti.
Salvatemi dai morti.