Cominciamo con il dire che la birra mi annoia. Limite mio, me ne rendo conto. La birra è la serie Netflix delle sbronze, io ho bisogno di sbronzarmi con un campione di incassi, con un Avengers o con un È stata la mano di Dio, mica con un Narcos a caso. Il vino mi accompagna, come un gatto, per l’autunno e l’inverno. A Natale mi scatta la molla dello champagne, dura due settimane, mi costa una fortuna, poi mi passa. Ma se devo sbronzarmi ho una mia teoria.
Ormai, e per ormai intendo a quarantatré anni, ci si sbronza per sfinimento, per avvilimento, per disperazione. Ci si sbronza per stare seduti comodi al tavolo dei pensieri scomodi. E lo si fa sempre meno, perché ormai, e per ormai intendo a quarantatré anni, ci vogliono intere giornate per recuperare forze e dignità.
La mia teoria è che, se davvero è necessario sedersi al tavolo dei pensieri scomodi, bisogna farlo subito.
C’è una teoria, figlia di una scuola di meditazione, che immagina i pensieri come farfalle. Li devi osservare volare, guardarne i colori, provare a contarli. E poi, respirando, farli fermare su un prato.
Con il gin, le farfalle diventano elefanti, e mica volano, corrono come diavoli nella savana. Anzi, ti corrono incontro. Puoi anche contarli, ma uno solo può stenderti, quindi sapere che sono dodici o quattordici non cambia molto.
Per esperienza personale, vi consiglio due gin tonic, uno dopo l’altro. Trovare una sedia comoda, sedersi, e aspettare gli elefanti.
Così, ieri sera, in una Milano deserta mi sono seduto su una sedia di plastica, sorseggiando il secondo gin tonic. Osservavo gli elefanti arrivare dal centro verso di me. Saranno stati almeno sedici.
Sono sopravvissuto. Si sopravvive sempre, ai propri pensieri. Con un gran mal di testa, ma si sopravvive sempre. Anche fossero farfalle, il mal di testa resta.
Il miglior rimedio post sbronza è non aver pensieri scomodi, verità nascoste, rimpianti, e altri animali fantastici. Così da non dover nemmeno pensarci, al gin tonic.