Hai mai osservato il tuo farmacista mentre ti incarta le scatole di medicine? Con quella carta sottile, che segue le mani veloci e si piega docile, sono movimenti quasi perfetti, sembrano meccanici ma hanno un grande segreto.
Quasi che ci rimango male quando invece mi mette le medicine nel sacchetto, senza incartarle, perchè l’incartamento è parte dell’esperienza, è un pezzo della liturgia, insieme ai sorrisi e alle battute.
Ci penso sempre, quando poi arrivo a casa, e metto le medicine sulla mensola. Scartarle è ancora osservare gli angoli perfetti, sembrano origami. E mi viene da pensare che uno studia farmacia, fa test di ingresso, sta in piedi la notte, per passare tossicologia, o chimica farmaceutica, e poi una parte del suo lavoro è quella di piegare perfettamente sottili fogli di carta. E nessuno all’università te lo aveva detto, che la perfezione dei tuoi pacchetti è un pezzo importante. E forse non lo immaginavi nemmeno tu. Credo uno si iscriva a farmacia prevalentemente per fare poi il farmacista, per offrire un servizio alla comunità, magari per diventare ricco, magari perchè voleva fare il dottore ma poi si è accorto di essere più portato ad ascoltare tutte le vecchine del quartiere che parlano di mirtillo e cistiti.
Forse la felicità è una cosa così, bilanciare sogni e realtà, e prendere la sottile carta della realtà, che non centra nulla con quello che ti aspettavi, e piegarla bene comunque. Sapendo che nessuno se ne accorgerà mai, di quanto sono perfetti i pacchetti di aspirine, ma facendolo lo stesso.
Che poi, invece, ci sarà sempre qualcuno che osserverà il pacchetto e penserà: che cosa bellissima questo incarto, sentendosi già quasi più felice.
Che la felicità è contagiosa, e resta sulla carta diverse ore, se è piegata bene, si intende.