Io e Anna avevamo due certezze, che a vent’anni è già un bel successo. Avremmo voluto fare gli scrittori, e non avevamo una lira.
Frequentavamo gente che voleva scrivere, aspiranti scrittori, poeti, tutti eravamo pronti. Non si sa bene per cosa. Non avere soldi era quasi un incoraggiamento. Tutti gli scrittori hanno sofferto, ci dicevamo.
Compravamo libri usati, a una bancarella dietro Sant’Ambrogio, davanti all’Università. Era l’unico mio avvicinamento all’Università, durante tutto il semestre. Saltavo tutte le lezioni, per dormire, per scrivere, per fare il volontario in ambulanza, per lavorare. Qualsiasi cosa era più importante delle lezioni.
Anna aveva i capelli nero corvino, due grandi tette, morbidissime, e un sacco di tagli sulle braccia. Quando sua mamma la faceva arrabbiare, lei si chiudeva in camera e si tagliava le braccia con un taglierino. Senza affondare troppo la lama. Poi mi chiamava, e uscivamo a bere. O anche solo a camminare.
A volte, quando faceva troppo freddo, salivo a casa sua. Era sempre silenziosa, sembrava fosse sempre deserta. Sua madre mi salutava aprendomi la porta senza aggiungere niente e rimanendo a guardarmi negli occhi. Era una donna bella. Ma fredda.
Nella libreria all’ingresso c’erano tutti i giornali. Credo il padre di Anna fosse giornalista. Non lo ho mai visto.
Ci chiudevamo in camera, e guardavamo Corso Vercelli, dalla finestra, fumando.
Anna scriveva di notte, robe cupe e dolorose. Io le rileggevo, perchè il patto segreto tra di noi era di leggere tutto quello che avevamo scritto. Io le portavo le mie poesie, e lei le leggeva incrociando le gambe sul letto. Rideva delle mie poesie d’amore e si faceva seria quando scrivevo d’altro. Non ho mai scritto una poesia per lei. Non ci siamo mai baciati. Anna aveva un fidanzato, Carlo. Compariva solo nei fine settimana, per portarla alle feste. Non mi hanno mai invitato, e Carlo non mi salutava nemmeno. Io ero solo, e ancora innamorato di una ragazza che mi aveva lasciato per un tizio che assomigliava a Lenny Kravitz.
Odiavo Lenny Kravitz, e più io lo odiavo più la radio lo passava a tutte le ore del giorno.
Odiavo anche i ragazzi ricchi con i loro SH squadrati, perchè uno di loro mi aveva portato via la cosa più vicina all’amore che avessi mai vissuto.
Quando Anna usciva con Carlo, restavo a casa a scrivere, o a guardare vecchie videocassette.
Una sera Anna mi ha invitato a casa di Carlo, per una festa. Sono passato a prenderla e siamo andati dall’altra parte della città. Mi sembrava tutto nuovo, come fossi in un paese straniero. Ordinati condomini con grandi giardini, e ville che costeggiavano gli svincoli dell’autostrada. Milano, vista così, mi sembrava bruttissima.
Alla festa c’erano gli amici di Carlo e qualche amico di amici.
Anna mi presentava come il suo amico scrittore, che era una cosa che mi dava un sacco di soddisfazione e legalizzava i miei pantaloni di velluto verde più adatti a un circolo di pesca che a una festa di ragazzi.
Una delle ragazze, si chiamava Monica, si era fermata a parlare con me, tenendo il bicchiere di carta con dentro il vino tra le mani come fosse un cero.
Mi faceva un sacco di domande su Carlo e Anna. Aveva gli occhi selvatici e scuri, un viso rotondo e un tipo di bellezza che non capivo.
A mezzanotte me ne sono andato, lasciando sul tavolo il mio bicchiere e senza salutare nessuno.
La mattina dopo Anna al telefono mi ha detto che Monica avrebbe voluto rivedermi.
E mi aveva consigliato alcuni posti dove portarla. Per una merenda, diceva.
Ridevo al telefono, pensando alle persone adulte che si fermano a fare merenda. E Anna rideva con me.
Beh allora fai un po’ come cazzo ti pare, mi aveva detto.
Ho chiamato Monica due giorni dopo, da un parcheggio in Piazzale Loreto. Le ho chiesto se le sarebbe piaciuto vedere con me un film o magari uscire a cena.
Tutti e due, mi aveva risposto.
Il venerdì dopo eravamo a cena in una trattoria vicino al centro. Monica faceva la fotografa, e studiava comunicazione. Parlava veloce, e mi guardava fisso negli occhi.
Mi aveva chiesto di leggere le mie poesie. Non mi aveva fatto sentire nulla di speciale, quella richiesta, perchè Monica non mi piaceva.
Allora eravamo andati a casa mia. Mio padre dormiva. Ci eravamo messi in soggiorno, sdraiati sul tappeto e avevo iniziato a leggere qualcosa.
Ci siamo addormentati così.
Quasi abbracciati.
Poi Monica è si è svegliata e se ne è andata.
Ci siamo rivisti in università, per un caffè. Seduta sul muro dei chiostri, fissandomi, mi ha detto: vuoi fare sesso con me e una mia amica?
Ho riso. Per sdrammatizzare e perchè nessuno mi aveva mai chiesto di fare sesso. Lo avevamo semplicemente fatto.
Si vede che in tre bisogna chiederlo, avevo pensato.
Si, ho risposto ridendo.
Perchè ridi?
Perchè mi fa ridere che tu me lo chieda. Insomma la immaginavo diversa.
Non è un tuo sogno, fare sesso con due ragazze?
Si, avevo risposto, ancora.
Usciamo giovedì, ti va?
Si.
Giovedì pioveva. Eravamo finiti in un karaoke vicino allo stadio. Monica era sola, vestita tutta di nero, truccata, e sorridente.
Non ho mai chiesto della sua amica, per tutta la sera. Abbiamo bevuto senza cantare e poi accompagnandola a casa la ho baciata. Slacciandole la camicetta ho sentito il battito veloce del cuore e mi è sembrata molto più viva, reale.
Una domenica ci siamo incontrati per camminare nei campi. Adoravo camminare nei campi intorno a Milano. Senza fare nulla di speciale. Solo camminare. Toccare il grano o la terra, osservare i conigli, la bruma, gli odori. Camminava vicina a me, guardando per terra.
Ho chiesto ad Anna di venire a letto con noi – aveva detto – e ha detto che va bene.
Tu cosa hai fatto?
Ho chiesto ad Anna di venire a letto con noi.
Perchè?
Perchè lo avevamo deciso.
Mi ero fermato, in mezzo al sentiero.
Anna è mia amica.
Era una frase così importante e stupida allo stesso tempo. E in tutta la sua stupidità era rimasta sospesa nel nulla del viso di Monica. Che non capiva.
Anna è mia amica.
Avevo ripetuto. Quasi per convincermi che un’amica, Anna, non un’amica, Anna proprio lei, non potesse fare cose così.
Cosa centra?
Non avevo saputo rispondere.
Io sono innamorata di Anna. E un po’ anche tu.
Io non sono innamorato di Anna.
Carlo dice di si.
Carlo è un coglione.
Vedi che sei innamorato di Anna?
Carlo è un coglione a prescindere. E io non sono innamorato di Anna.
Vuoi venire a letto con me e Anna?
Non lo so, cazzo.
Avevamo ricominciato a camminare. Stava per fare buio.
In macchina non avevo parlato e avevo messo una cassetta dei Gorilla Biscuits.
A un semaforo mi ero girato e Monica mi aveva baciato, un angolo della bocca.
Mi aveva guardato, dopo il bacio e mi aveva detto: tu non mi piaci, ma lei si. E io so di non piacerti, ma ti piace lei.
Ero scoppiato a ridere.
Hai ragione, tu non mi piaci. Si capisce tanto?
Fai sentire la mia bellezza inutile.
Allora scusa. Ma anche io non piaccio a te…
Tu sei incompleto. E stai per combinare un sacco di casini, te lo si legge in fronte. Sei l’ultimo uomo che ho bisogno adesso.
Credevo fosse per il naso grosso.
E poi non avevamo più parlato fin sotto casa.
Monica era scesa senza salutarmi.