Immagina il pungente profumo dei fiori, venduti da un baracchino all’angolo di un vicolo. Colori precisi, viola, rosso, verde acceso e intenso, marrone, giallo. E il profumo. Appena sotto, il rumore del traffico, taxi che corrono quasi scappassero da qualcosa che li insegue, rumorosi autobus che quando frenano sembrano elefanti che piangono. Tram che sferragliano. Devi imparare a camminare, in queste città. Imparare a camminare. Scandendo passi, come parole. Il minimo indispensabile, per essere quasi trasparente. Scomparire, come il fumo della carne che arrostisce ai bordi delle strade, come le ombre che spariscono nei vicoli, bui, pieni zeppi di umanità.
Il caldo, solo una promessa, solo una anticipazione, di quello che l’umiditá qui combina con l’estate. L’acqua sporca, che scivola, rivoli neri, verso i tombini.
Non mi interessa se non mi ami. Dovrò, a un certo punto, imparare a farmene una ragione.
Prendo un caffè, nascosto tra due negozi c’è un ristorante di dim sum che ha una vecchia Nespresso, arrugginita, che fa tazzine miracolose di caffè. Odore, subito, di casa. Casa è lontanissima. Forse per questo mi manchi. Il caffè è come se fosse un buon modo per starti vicino.
Tutto è in movimento. Scompaio nelle file disordinate di persone, nei vicoli, nella grossa strada principale, salgo e scendo dalle scale del metrò. Ho fatto molte volte questa strada. Adoro farla senza fretta apparente, godendo delle luci, prendendo volantini dalle ambulanti che vogliono farmi un massaggio. Promettono di essere sensuali, donne povere, mani sporche, sorrisi senza denti, implorano di seguirle, nel buio di qualche atrio, per trenta dollari.
Quanto vale la purezza? Trenta dollari.
Per arrivare al mercato delle pelli, bisogna aver buona memoria, di punti di riferimento come quella profumeria con l’insegna rosa e i neon, e poi il venditore di latte di cocco, con la coda di studenti in fila, un bicchiere dieci dollari. Poi proseguire dritti vicino al giardino della scuola cattolica, con i bambini in divisa dietro alle inferriate che giocano con palle colorate, nel chiasso immenso. Un oasi.
Mi manchi, guardando questi bambini. Come mi manca il silenzio, a volte. Ecco, mi manchi come mi manca il silenzio.
Adoro la pelle. Sono di quegli uomini che trovano truce uccidere una vacca, solo perchè non amo la carne. Ma adoro la pelle, conciata, stesa ad asciugare, adoro osservare le mani sapienti che bucano, grossi aghi, punzoni, filo di corda spessa, nodi da marinaio, come promesse, difficili da imparare, impossibili da sciogliere.
Qui vendono, barattano, rubano, tirano, nascondono, le pelli che dal secolo scorso, coprivano uomini e donne, borse, cappotti, giubbotti, giacche, stivali.
Due, in fondo bastano e avanzano, sono quelli che, con i ritagli, usando carta di scarto, fanno splendidi quaderni.
Terzani, camminando per questo mercato, portava sua moglie per mano. Lo racconta, con gli occhi pieni d’amore, sua moglie. E compravano i suoi quaderni.
Un quaderno serve a tenere memoria, come fosse un racconto. Memoria intima, quella dei quaderni. Nessuno legge i quaderni, se non chi li ha scritti.
Non riesco a nascondere le cose, non riesco più a farlo. Invecchio anche io. Invecchiando divento sincero.
I quaderni di pelle di questo posto sono tra le cose più preziose. James, dice di chiamarsi James, li fa con gli avanzi delle borse, che ricche donne annoiate, in infradito, comprano per poi buttare in qualche armadio, tornate dal viaggio esotico.
A James, credo, non interessa molto dove vanno a finire le sue borse.
Sui quaderni, James, ha una visione differente.
Li vende uno alla volta, non contratta sul prezzo.
Ha una piccola collezione di quaderni con la copertina di seta. Una moneta che tiene lo spago per chiuderli.
Quaderni per principesse, dice ridendo.
Ha quaderni di pelle, stupendi.
Di ritorno mi siedo sul metrò, pensando che sto invecchiando.
So che tu stai bene.
Lo so perché lo sento.
Mi manca il tuo ridere.
Mentre sto seduto qui.
Lo scriverei sul quaderno.
Porto con me la busta, fino al trentaduesimo piano del grattacelo che da sulla baia.
Uno dei bar più belli del mondo, dice il cartello.
Il sorriso della hostess mi ricorda Milano. Non so perché.
Mi fa sedere, oltre il vetro osservo i traghetti che passano lenti sulla baia, le luci dei palazzi.
Ordino rhum.
Adesso, nonostante tutto, dovresti essere qui.
Ma non sarebbe un bel racconto.
Assaggio il rhum. Tutto è rosso e nero, qui. Dai sottobicchieri, fino alle divise, scollate, delle educate cameriere.
Abituate a ricchi puttanieri inglesi.
Adesso mi manca il tuo sapore.
Ed essere nudi davanti a questo vetro.
A guardare.
Dovresti raggiungermi, per stare bene.
Questo credo tu lo sappia.
Finisco il rhum, faccio un cenno al mare della baia, come se fosse un amico da salutare.
E torno nella gente, diventando trasparente nella città infinita.
Mi manchi
“Dovresti raggiungermi, per stare bene.
Ma questo credo tu lo sappia.
Mi manchi”
Le prendo in prestito, poi giuro che te le rendo.
Ma devo scriverle al mio amore.
Grazie.. …!
Fallo subito. Perché tra poco sarà un pezzo famoso