Anna

Si erano incontrati nel parcheggio del bowling, lontano da occhi indiscreti, decoro, e ricordi romantici.

Si erano piaciuti fin da subito, un po’ per quel naso di lei, che sparava piccolo e dritto verso il cielo, un po’ per le spalle di lui, che davano sicurezza e coprivano l’anima.

Un po’ perchè a tutti e due non piaceva, in fin dei conti, il bowling, i parcheggi, gli occhi indiscreti e gli amori inutili.

Lei gli aveva detto: mi ricordi terribilmente il mio professore di italiano del liceo. Si chiamava Paolo. Tu come ti chiami?

Franz.

Davvero?

Certo, che domanda è: davvero?

Che Franz è l’abbreviazione di Francesco. Solitamente.

Non mi piacciono le donne saccenti. Le donne che diventano rosse, le donne che non hanno gusto per le scarpe e le donne che pensano in Comic Sans. Finire una frase con: solitamente, sembra davvero in Comic Sans.

Scusa.

Comunque hai ragione. Franz sta per Francesco.

Tu come ti chiami?

Anna.

E’ il nome più bello del mondo.

Lo dici a tutte?

Solo a quelle che si chiamano Anna.

Parlava, lei, con una voce calma, davvero calma, forse troppo calma. La calma di tutto il mondo sembrava essere finita nella sua voce. Che scandiva, lenta, parole e pensieri. Aveva gambe lunghe e il sospetto che, a ragione, l’uomo della sua vita fosse, purtroppo, prematuramente scomparso. Lo diceva lei. Scandendo le parole.

L’uomo della mia vita è scomparso. Lo saprei riconoscere. Lui non c’è.

Resterai sola?

Penso di si. Ma sola non sono. Ho splendidi amanti, ruvidi maschi, noiosi compagni. Ho tutto quello che cerco. Tranne che l’uomo della mia vita.

Vorrei conoscere, di queste donne, tutta la storia, fin da subito. Sono avido di respiri, di sorrisi, di parole sottese, di collant lasciati su schienali di legno di sedie spaiate, in cucine illuminate da vino e candele.

Sono avido di labbra, di rumori, di discorsi, di sogni infranti e di incubi ricorrenti, questo devi saperlo, le dico.

Non mi spaventi. Se non per il fatto di essere fermo, in piedi, a fumare, in un parcheggio di un bowling.

Camminavo. Per pensare. Ho lasciato la moto alla rotonda che da sui campi. Volevo pensare.

E, solitamente, giri nei parcheggi dei bowling per pensare?

No. Non so nemmeno giocare a bowling.

Nemmeno io.

Dovrebbe essere facile, dicono.

Lo dicono di molte cose.

Hai ragione. Lo dicevano anche del mio lavoro.

Non ho nessuna intenzione di chiederti che lavoro fai.

Tu che lavoro fai?

Al momento nessun lavoro. Per questo giro in moto e penso.

Potrebbe essere un lavoro?

Non credo. Ma mi serve.

Tu cosa fai in un parcheggio di un bowling?

Parcheggio, manco a dirlo.

Giochi a bowling.

Mai fatto in vita mia. Andava di moda, a un certo punto, in una certa Milano, un po’ di anni fa, portare la fidanzata al bowling.

Ricordo perfettamente.

Ecco, io ero sempre sola. Non ho mai imparato a giocare a bowling.

Non te ne pentirai, credo.

E non ho mai imparato a fidarmi di un uomo.

Non credo sia necessario fidarsi per amare.

Non lo so. Comunque parcheggio qui perchè sto lavorando alla stazione di servizio qui davanti.

Non hai la faccia da benzinaia.

Non sono una benzinaia.

Fai la puttana, tu?

Apprezzava le persone che facevano domande dirette, lei. Adorava fare domande dirette, lui. Le domande dirette, insomma, cadevano sulle loro conversazioni come cacio su maccheroni perfettamente al dente.

Le loro conversazioni erano cotte al punto giusto, lasciate indietro di un paio di minuti, al dente.

Come dovrebbero essere le conversazioni giuste. Quelle che precludono grandi esplosioni.

Prima di ogni grande esplosione, nella vita, c’è una conversazione dal ritmo perfetto, al dente.

No, non faccio la puttana. Non so se avrei il fisico per farlo.

Non serve il fisico per fare la puttana. Serve l’anima. Prenderla e buttarla.

Vero anche questo, comunque non ho mai valutato di farlo. Ecco.

Quindi, se non fai benzina, se non fai pompe, che cazzo fai in un benzinaio?

Lavoro davanti a loro, sei metri lineari. Lo so per certo, per via dell’impalcatura da sei metri che hanno dovuto montare. Lavoro da due mesi all’icona della Madonna che hanno rovinato l’anno scorso.

Restauratrice.

Quasi. Ristrutturatrice d’esterni.

Beh. Approssimativamente lo stesso.

Quasi.

Hai l’aria di una artisticamente formata.

Avrei voluto fare la pittrice da grande.

Anche io avrei voluto fare lo scrittore da grande.

Hai gli occhi da scrittore.

Grazie. Anche i ricordi, sono da scrittore.

Scrivi?

Si. Tu dipingi?

Si.

Fumavano sigarette ormai consumate, l’unica scusa per fermarsi ancora a parlare, pessima idea, le sigarette finiscono troppo presto. Come le conversazioni al dente.

E così, senza aspettare nessun brutto finale, o nessun arrivederci, si erano girati, senza nemmeno salutarsi.

Addio Anna.
Anna Addio.

Adoro dire addio, Anna.

Adoro dire, addio Anna.

Lo dico a te, come l’ho detto l’ultima volta all’ultima Anna della mia vita.

Mia madre.

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