1.
Con quella storia dei siti per incontri, in effetti, c’era andata giu pesante. A parte il discorso del ragazzo abruzzese, anche gli altri personaggi che aveva conosciuto non erano, diciamo, l’immagine ideale del ragazzo normale da presentare alla propria madre. Un interessante campionario di piccole ossessioni, calvizie incipienti, pancette feroci e un sacco di voglia di scopare e basta, altro che “relazione seria”. Comunque sua madre era morta quattro anni fa. Certo, l’abruzzese era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Pessima idea quella di frugare nei cassetti, mentre lei si faceva la doccia. Ancor più idiota l’idea di tirare fuori la pistola d’ordinanza dal cassetto e di cominciare a giocarci. Ma il culmine era stato, l’apice dell’idiozia, puntargliela in faccia. Per forza poi uno si trova con il setto nasale rotto, due costole incrinate e un polso fratturato in due punti. Piangeva come un bambino, mentre l’ambulanza lo portava via. Ma il Commissario non aveva apprezzato la storia. Mica per altro, diciamo che capitava in un periodo abbastanza movimentato in cui il suo curriculum si era colorito di molti episodi che, volendo giudicare con occhio estremamente critico, potevano essere catalogati sommariamente come eccessiva violenza. Eppure, a vederla, con i suoi sessantasei chili, il corpo minuto e svelto, le mani graziose, il viso angelico infilato in un mare di ricci neri, nessuno lo avrebbe detto. Nessuno tranne i quattro poveretti alla Stazione, tre fratture, una manciata di denti sul pavimento, due contusioni e un trauma cranico. Nessuno tranne il collega di pattuglia, colpevole di un pesante complimento circa “quel culo a albicocca”, tre dita rotte, mano sinistra, occhio tumefatto, labbro rotto. Nessuno tranne quel vigile del fuoco, Caserma Messina, quarto turno, perlomeno prima di farsi un mese d’infortunio per essere stato spedito giù da una rampa di scale, fatte prevalentemente con le braccia e la schiena, dopo aver commentato, pare ad alta voce, circa il presumibile legame tra l’altezza e la bellezza, esprimendo il tutto con un vecchio adagio, “donna nana…”.
Niente, al Commissario questa lista sembrava essere troppo lunga.
Per questo, dopo il povero ragazzo abruzzese, era stata spostata alla Speciale Trentadue. Trasferimento immediato. Senza aver nemmeno il tempo di chiedere cosa fosse, questa Squadra Trentadue.
2.
Da piccolo dicevano che aveva il potere di prevedere le cose. Tipo i temporali, ma anche le malattie dei parenti. Un piccolo fenomeno, famoso in tutto il quartiere. Un quartiere, a dirla tutta dove bastava poco per essere famoso. Non succedeva mai niente, per questo lui non si ricordava più niente. Ricordava i baffi gialli del padre, per il fumo delle Nazionali senza filtro. Ricordava la noia mortale senza la televisione, e la prima 127 gialla, usata per tornare a Napoli a trovare Nonna Cettina, effettivamente poi morta poco dopo. Non per l’emozione di aver visto una 127 gialla, nemmeno per l’emozione di aver rivisto i suoi tre nipoti da troppo tempo scappati al Nord. Nemmeno per l’enfisema che la faceva respirare come un leone marino sovrappeso. Per un colpo di pistola. In Via Immacolata, al mercato rionale, tra la bancarella di Zio Peppe e la porta del Tabacchi. Si chiamano vittime bianche, quelli che muoiono per sbaglio. Ma, pur per sbaglio, muoiono comunque. Lui quella morte lì mica l’aveva prevista. Con il cazzo che prevedeva le cose. Aveva deciso di fare il poliziotto per questo. Per evitare che altra gente, uscita di casa per comprare il sale e due etti di crudo, si ritrovi tre metri sotto a un cipresso malaticcio, dentro quattro assi di mogano. E a Milano ci era finito dopo l’ennesima promozione. Le vittime bianche morivano ancora, ma molto meno. Mica per lui, è che la Camorra, la Mafia, e tutte le loro metastasi dovevano aver fatto un corso al poligono di tiro. Perché ammazzavano comunque, ma sempre di più la gente giusta. Giusta secondo loro. Lui si era fatto le ossa tra i treni di Termini. Fino a quando era finito nel più grande sequestro di cocaina di sempre. In veritá il terzo di sempre, perchè trasferito a Savona, promosso, aveva fermato un tir imbottito di erba, giudato da uno slavo imbottito di vodka. Il secondo sequestro più importante di sempre, perchè promosso sul campo e trasferito a Chiasso aveva lavorato sodo stando dietro a un rappresentante di calzature con il vizio di passare la dogana pieno zeppo di coca. Che poi, diligentemente immagazzinava in un deposito a tre chilometri di distanza. Che riempi un giorno, riempi un altro, era davvero pieno. Primo sequestro, notizia sui giornali, complimenti del Capo, del Sindaco e anche del Prefetto. Promosso e trasferito. Milano, squadra speciale Trentadue. Aveva chiesto cosa fosse. Nessuno aveva risposto. Di buono c’era che lui aveva trentadue anni e la cosa, seppure senza ragione, gli sembrava di buon auspicio.
3.
Una vita, ci aveva messo una vita. Prima il mago, che rubava i soldi alle vecchiette del Corvetto annunciando il malocchio e che aveva il vizietto di comprarsi MDMA in internet. Poi il senegalese che portava al mago le buste, con un motorino che buttava fuori odore di olio ed era senza luci. Poi il calabrese che vendeva al senegalese, dal bancone di uno splendido panificio del centro, focaccia appena sfornata e MDMA. Un nuovo modo di intendere il brunch alla milanese. Poi gli amici del calabrese, calabresi pure quelli, che andavano e venivano da Marsiglia. Importando ogni volta bauli pieni zeppi. Non di sapone, che a Marsiglia, a ben vedere, è l’ultima cosa che compri. E lui, tra il Corvetto, il centro, Marsiglia e un sacco di paesi usati per far tappa, sempre dietro di loro. Sempre solo. Un cazzo di cane da presa. O Lupo. Come lo chiamavano in Commissariato. La differenza tra il cane e il lupo, se non ci fossero stati gli uomini di mezzo, sarebbe anche minima. Preferiva essere cane. Ma poi andava bene anche Lupo. Ci aveva rimesso un matrimonio e un po’ di amici. Poco male. In compenso aveva imparato a pisciare nelle bottigliette d’acqua, restando seduto al volante, a mangiare snack al cioccolato anche per tre giorni di fila, e a non dormire per due giorni. Roba che, oggettivamente, faceva curriculum solo in un ambiente molto molto ristretto. Questo gli aveva detto, parlandogli con fare paterno, il Commissario Albani, che non vedeva da due anni. Non per altro, ma era troppo impegnato a dormire in quella cazzo di Giulietta grigia, per frequentare il Commissariato. “Lupo, tu sei davvero bravo”.
Questo si dice a uno che vive in una macchina da ventiquattro mesi.
“Per questo ti ho nominato per la Squadra Trentadue”.
Che cosa cazzo fosse, questa Squadra Trentadue, non era dato sapere.
4.
L’ispettore Rizzi aveva un singolare primato. Stava sul cazzo a tutti. Non proprio a tutti. Solo a quelli che contavano qualcosa. Che, visto da fuori, non era una cosa buona. Nemmeno visto da dentro.
Aveva quarantadue anni, ventidue di servizio, un pedigree da mastino, nemmeno uno scheletro nell’armadio, e la grande capacità di far incazzare tutti, dicesi tutti, i suoi superiori.
Era basso. Magro. Sempre vestito male. Veloce, con gli occhi e con le mani. Parlava correntemente la lingua della strada. Russo con le puttane degli hotel, croato con quelle della circonvallazione, francese con gli spacciatori magrebini dei giardini, italiano con quelli a cui non bisognava dare fastidio. Forse per questo era stato chiamato al Lambrate. Il commissariato più sonnolento di tutta la cittá. Capannoni, tangenziale, centri commerciali. Furti, scippi, qualche rom esuberante. Roba talmente noiosa che pensava di incominciare a bere per farsela passare.
Poi era arrivata la questione Sacro Cuore. Le cose grandi iniziano sempre in sordina.
Sei mesi dopo, non prima di aver rotto i coglioni a tutti, dicesi tutti, i suoi superiori, era arrivato a farsi dare una squadra. Solo per la questione Sacro Cuore.
Aveva bisogno di forza, fiuto, pazienza, intuito e culo. Aveva chiesto tutto, tranne il culo, che quello mica arriva su ordinazione.
Gli avevano dato tre agenti. Uno pensa a una squadra e immagina venti persone. Solo per il traffico mettevano squadre da sedici agenti. Tre non è una squadra, è un invito a non rompere più i coglioni.
Era entrato nel piccolo ufficio numero 32 ripensando alla questione di iniziare a bere. Tanto e subito.
Si era trovato davanti a un culo perfetto come un disegno. Che di qualcuno doveva pur essere.
La scena era abbastanza strana, anche da sobri.
Una donna, piccola come un ramoscello, teneva il collo di un uomo basso e tarchiato, sdraiato per terra, di fianco a un tavolo rovesciato, mentre un altro uomo, trasandato come un barbone, osservava incurante.
– Bene. Tu devi essere Gamberale – aveva detto rivolto al culo.
La donna, senza mollare la presa, aveva fatto un cenno con la testa.
– E tu devi essere Lupo – aveva detto al barbone.
– Preferisco Cane
– di conseguenza tu, sempre che noi sia già morto soffocato, dovresti essere Carutiello.
– Vorrei, in questo esatto momento, che tu molli la sua carotide, tu ti alzi, ti ricomponi e torni di un colore vicino al rosa, e tu ti siedi.
I tre sembravano seguire gli ordini.
– e vorrei anche aggiungere due cose. La prima è che se lo ammazzi non ce ne danno un altro. E la seconda è che Cane è un cazzo di soprannome del cazzo. E io ti chiamo Lupo.
Seduti, con lo sguardo fisso su di lui, sembravano aver recepito.
– La terza è che noi siamo la Squadra Trentadue. Non esistiamo per nessuno. Ne per nostra madre, la Polizia, ne per nostra sorella, la Repubblica Italiana. Prendiamo il nome dal numero della stanza dove alloggeremo per i prossimi tempi. Se fossimo stati nella stanza trentuno, ci saremmo chiamati Squadra Trentuno. Nella stanza sessanta, Squadra Sessanta, e così via. Non c’è nessun altra ragione. Io sono l’Ispettore Rizzi, e come voi ho il curriculum perfetto per questa squadra. Se domani sparisco non ho nemmeno un pesce rosso che mi piange. In merito al cercare di ucciderci tra di noi, come stava giusto giusto avvenendo, suggerisco di provare ad evitare di farci uccidere da altri. In merito ai soprannomi, fate come cazzo vi pare. In merito a me, chiamatemi Marco, o Ispettore, o come cazzo vi pare. In merito al senso della Squadra Trentadue, se volete seguirmi, vi offro qualcosa da bere e vi parlo di una questione particolare. Se avete scelto di smettere di bere, è il momento sbagliato. Ne avrete bisogno. Se avete scelto di smettere di credere, è il peggior momento. Avrete bisogno anche di quello. Per il resto, la nostra nuova ossessione comune si chiama: Sacro Cuore.
(…)
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