Lettera di Natale agli amici che mi accompagnano, quelli che chiamo fratelli, quei quattro che al mio funerale fumando, in fondo al gruppo diranno: è caldo per essere gennaio.
Qui la colonna sonora.
Soldati!
Fratelli!
È uso anche nei gruppi più scassati di mercenari, ritrovarsi e brindare alle vittorie e alle sconfitte che il destino ha messo nei giorni dell’anno passato.
Celebrare una vittoria è sempre facile. Sbrodolare parole d’entusiasmo come una vecchia fisarmonica suonata da uno zingaro noioso nel metrò, è un lavoro da principianti.
È nella sconfitta che si vede la vera vittoria.
In ogni fottuto errore, in ogni piccolo cedimento, in ogni debolezza, in ogni eccesso, merda che, come la merda dovrebbe sempre fare, concima anche il più arido dei terreni.
L’impresa eccezionale è buttare semi, lasciare che cadano, aspettare che crescano i germogli, curarsi dei fiori, godere dei frutti.
A questo serve buttare semi al vento. Ad aspettare che fiorisca il cielo.
Poeti del cazzo.
Le mani che hanno grattato il fondo hanno segni indistinguibili, i tatuaggi della vita. Di chi concima. Prima di seminare.
Ho incontrato i miei fratelli nelle viscere della vita, dietro i tornanti delle situazioni, sotto i fastidi e in mezzo ai casini.
Siamo un disordinato gruppo di mercenari che combattono la più bella delle guerre.
Siamo insieme perchè tutti, in guerra, muoiono per una sola cosa.
Per paura.
E insieme abbiamo meno paura. E insieme riusciamo a celebrare anche le sconfitte più cocenti.
Lasciamo a chi evita di farsi domande, a chi prende il meglio scappando dal peggio, a chi preferisce il giorno alla notte, a chi è sicuro delle proprie certezze, a chi le insegna le certezze, il pregio dell’evitare la paura.
Moriranno come noi, per la stessa guerra. Ma senza averla mai davvero combattuta.
A noi, questa guerra ci usa per le battaglie più sporche.
Mercenari per la moneta più importante di tutta la guerra: l’amore.
Una guerra lunga una vita. Speriamo che duri. Questa guerra.
Che fa sempre meno paura.
Fa sempre meno paura chiamare le cose con il proprio nome.
L’amore più bello, profondo, vero e deciso l’abbiamo trovato in squallide stanze di motel o camere in affitto senza quadri e con pochi mobili.
L’amore che ci ha tolto il sonno, il sorriso, la fiducia, la voglia.
L’amore che ci ha insegnato a piangere di nascosto, a ridere delle piccole cose, a fare passi piccoli, ma a non smetter mai di farli.
L’amore che chi ha chiamato bastardi, bugiardi, stronzi, infami, l’amore quello vero.
Lasciamo in coda alla cassa gli altri, che pagano le bugie e il dubbio, il salatissimo conto per essere stati sinceri lo stiamo pagando a rate da un pezzo.
Brindiamo a questo, che fa meno paura insieme. Brindiamo alle nostre donne. Che a modo loro, hanno imparato ad amare. Alle nostre madri. Che puttana merda se mi spiegavi meglio tutto questo casino era meglio, invece mi mandavi a ginnastica artistica. E adesso che cazzo faccio davanti a questo imbroglio di una donna che mi ama: le salto davanti a ritmo?
Brindiamo alle nostre sorelle, che sono un porto sicuro di luoghi comuni e amore infinito. Brindiamo alle nostre figlie. Che qualsiasi cosa vi dicano, i figli si fanno solo con amore.
Brindiamo, è Natale.
A noi, che Natale ci ricorda quanto sarebbe comoda la vita, imbottita di bugie come le vecchie madri imbottite di benzodiazepine parcheggiate nei caffè del centro.
A noi la guerra ci piace scomoda.
E le ferite ci bruciamo come ai bambini.
Per questo piangiamo. Per essere bambini, genitori, adulti, allo stesso tempo.
A voi, a noi.
Che abbiamo paura. Che, di conseguenza, abbiamo anche coraggio.
A voi, a noi.
Che ormai ci conosciamo, vecchie consorti, nei pregi e nei difetti.
Guardatevi da fuori.
Uno sgangherato gruppo di mercenari.
A ognuno di voi devo molto.
Perché sotto il fuoco della guerra, ho sempre avuto uno di voi vicino.
Vi devo la vita. Ve la sto, silenziosamente, dando.
Lasciate stare i bilanci, quest’anno. Esserne, dignitosamente, usciti, è stato davvero notevole.
Sono sicuro che lo rifaremo. Per l’amore della guerra. Per l’amore dell’amore.
Auguri, fratelli miei. Alla fine, Dio ci avrà. Io non morirò a maggio. Perché a maggio mi piace andare al mare. Io morirò a gennaio. Morirò da soldato, combattendo, per l’amore.
Non chiedetemi chi la vince, questa guerra. Non lo so.
Ma ogni volta che vi vedo uscire da una battaglia, so che abbiamo vinto un’altra volta.
E continueremo a farlo.
Il vostro mitragliere
Franz
PS: Io che in Dio ci credo, a Natale mi diverto a pensare che la storia di questo Dio è una storia d’amore bellissima. Rovinata da chi la racconta. Ma è una storia stupenda. La più bella del mondo. Morire d’amore.
A me Natale piace per questo.
Una volta stavo guidando, ad agosto nel caldo, per andare da una stupenda conoscenza estiva, che mi saliva in mente la sabbia, i capelli biondi, la fame incosciente che hai a vent’anni. E per radio mandavano Lucio Dalla.
E lei mi disse, senza nemmeno baciarmi, che niente. Non era cosa.
E io ho pensato, guidando verso casa con questa canzone:
– cazzo io di questa cosa ci morirò.
Io morirò d’amore
Non sará una canzone di Natale.
Ma nemmeno le vostre facce sembrano belle, a un primo sguardo.
Non tutto è come sembra.
A voi,
A noi.
Che moriremo diversi dagli altri.
Per amore.
Non di paura.
Parole di poete
vino, e vita vissuta
ma Dio cane
La migliore ballotta di sempre…
La Ballotta per eccellenza.