Atto primo
Mi ricordo che andavamo pigramente seguendo la strada che, come un serpente, si snoda sulla costa del Big Sur.
Avevamo cercato lo spot migliore, lungo i faraglioni di Santa Cruz,, per surfare le onde insieme alle otarie nelle alghe. Avevamo cenato sul molo, respirando tutta la lentezza della periferia, davanti al Pacifico. Cercavamo la casa di Miller, dentro la foresta di sequoie, a pochi passi dal sentiero che porta fino al mare e alle ville abbandonate, in legno azzurro, che prendono tutta la nebbia bagnata del Pacifico e tutto il vento salato della costa.
Portavo con me un quaderno, un libro e una busta di tabacco. Come se, per tutte le emergenze bastasse questo.
Il Big Sur è fuori dai giri turistici. I parchi, Los Angeles, San Diego e forse Las Vegas.
Maledetta Los Angeles, così brutta eppure così capace di attirare turisti che si perdono Frisco, Sausalito, Santa Cruz, El Carmel e Lucia.
Lucia è l’unico punto di ristoro in tutto il Big Sur. La magia di tavoli di legno sospesi sul nulla delle colline che scendono ripide verso l’oceano, l’aria frizzante, e quel genere di viaggiatori che ti fanno venire voglia di vedere solo posti così nel mondo. Avevo comprato un libro, a San Francisco, alla City Light Bookstore, insieme alle poesie di Ferlighetti e a una copia di un saggio su Fante. Un libro di Carver. Il mio primo libro di Carver.
Ho iniziato a leggere seduto sulle assi di legno umido a Lucia, mangiando un hamburger di gamberi e bevendo una birra media. Davanti a me una coppia di olandesi cercava, senza nemmeno darlo troppo a vedere, un posto dove appartarsi. Fare l’amore, in effetti, è la prima cosa che ti viene in mente nel Big Sur. Con una donna, con una moto, con un libro o con la natura, semplicemente aspettando che gli scoiattoli arrivino curiosi fino alle mani, mentre il vento spazza gli alberi della foresta e le otarie nuotano pigre intorno agli scogli.
Leggere Carver è come quegli scossoni che il maestrale da ai grossi traghetti, che fanno spaventare le signore e digerire i marinai. Resta in mente, Carver. Per sempre.
Ci sono mani, pagine, parole, rumori e baci che cambiano le sorti di una vita per sempre.
Quella maledetta birra, quello strano hamburger di granchio e quel libro, insieme, mi hanno cambiato come solo la California può fare.
Atto Secondo
Avevano scelto il giorno sbagliato. Erano seduti sugli scalini, scaldati dal sole, che davano sul garage. I piedi nudi sentivano il caldo, e non c’era un gran bisogno di parlare. Era il giorno sbagliato per parlare, forse anche il giorno sbagliato per fare l’amore, di sicuro il giorno sbagliato per partire.
Passava un filo di luce nella stanza, che illuminava i vestiti buttati per terra in un disordine perfetto per dipingere tutto il desiderio. Dal prato veniva solo il rumore di fondo della cittá d’estate. E il rumore del loro silenzio, interrotto da un bacio sul collo. Aveva questi vestiti che facevano sembrare brutte tutte le altre donne, e queste labbra che facevano sembrare inutili tutte le altre scuse. E questa fame, che insieme alla sua faceva rima perfetta in una poesia di mani, gambe e pance che si scontravano dolcemente.
Avevano deciso di giocare al gioco più pericoloso del mondo, quello di volersi senza poterlo fare, di amarsi senza averne diritto, di lasciarsi cadere, come i vestiti, in un disordine perfetto.
Avevano cercato di fermarsi, a vicenda, per il pudore del gioco.
Avevano ceduto, a vicenda, all’esplodere della fame, alle rime tra le gambe e le mani, alla vittoria delle labbra.
Seduti sui gradini caldi, aspettavano che arrivasse il momento per andarsene.
Senza nessuna voglia di andarsene.
Senza nessuna risposta alle domande della ragione.
Lui scavava nei pensieri.
Per trovare un aggettivo, preciso, che chiudesse tutti quei vestiti, tutti quei gemiti, baci, sorrisi, sguardi. Quel suo stringerle i polsi, e quel suo lasciarseli stringere.
Fumava guardando il prato, l’umido del caldo, il silenzio della cittá.
Baciando distrattamente una spalla.
Ci sono questi momenti, nella vita di un uomo, in cui non servirebbe nient’altro che questo. Solamente questo.
Per sempre. Invecchiare baciando una spalla con la quale si è lottato, in un disordine di vestiti e lenzuola, aspettandosi per poi sorridere, con gli occhi che esplodono e chiedono: ancora, perdio, ancora.
Invecchiare così, strafottenti del mare del mondo, ma attenti osservatori delle nuvole e del vento. Come due guardiani di un faro. Illuminarlo fino alla fine, invecchiare così, senza che il mare faccia paura.
Ascoltava il rumore delle sue parole, dette piano, per non disturbare la quiete, mentre cercava un aggettivo. Una parola precisa. Le parole sono troppo importanti. Possono racchiudere un destino.
Principianti.
Ecco la parola.
Principianti.
Rivestendosi, senza fretta, aveva pensato di dirle che aveva trovato la parola che racchiudeva tutto.
Principianti.
( se mai tu non avessi letto Principianti, di Carver, corri ai ripari al più presto. Che è uno di qui libri in cui puoi nascondere tutta una vita. Se mai tu non fossi stato nel Big Sur, a Lucia, corri al riparo al più presto. Che è uno di quei posti in cui senti di essere, finalmente, arrivato).