Il Piccolo sta prendendo dimestichezza con l’utilizzo dei toni. Da oggi è ufficialmente in grado di rispondermi male, con tono altezzoso. Sta facendo le prove, alle quali rispondo in modo differente ogni volta.
Vorrei avere tutta la sicurezza educativa che vedo in molte madri, o lo sconfinato amore che vedo in sua madre e che le permette di passare sopra tutto. Ma io sono io. Armato di quel filo di pazienza che mi è rimasta dopo un giorno passato in macchina a sfiorare l’esodo, il grande esodo di agosto, evito per un soffio di fracassagli la testa contro l’angolo della sdraio, decidendo di ignorarlo.
I bambini non conoscono le misure, figurarsi le mezze misure. E quando iniziano a prenderle, si lotta.
La tregua viene siglata grazie all’intervento di un divano letto che ha avuto il merito di apparirgli come il Letto Più Grande Del Mondo.
Ci si è infilato con soddisfazione e pianificando di invitarci la sua amica, per dormire insieme.
Che come progetto, devo ammetterlo, mi ha fatto anche sorridere.
Io ho battuto in ritirata sulla sdraio, armato di una bottiglia di Brugal, due libri e una grossa candela gialla, citronella, che ha il compito di arrestare l’armata di animaletti che popolano il giardino.
Aspetto pazientemente che il pianobar del Grand Hotel smetta di proporre tutto il repertorio di canzoni strappa applauso, sorseggiando il rhum e rileggendo mail. Non scriverò. Non leggerò.
Starò sospeso in una amaca intessuta di stanchezza e stupore.
Verso sera abbiamo camminato fino al bagno dove si balla sui lettini, si beve, si salta, si urla.
Evidentemente fuori luogo, il Piccolo per una ventina di anni in meno della media, io per una decina di tatuaggi in meno della media, siamo stati ai bordi del divertimento. A lui piace vedere, con gli occhi limpidi di un bambino, tutto questo bordello. A me decisamente meno. Ma sopporto.
Ho preso lo skate, a piedi nudi, per andare a comprare delle verdure. Scivolando tra le radici che fanno esplodere l’asfalto e bande di giovani donne ubriache sono arrivato al piccolo negozio di alimentari sudato e puzzolente.
Mi ci vuole sempre qualche ora per ambientarmi. Qui chi viaggia tutto l’anno in seconda classe, vuole sentirsi in prima, e quelli della terza, escono allo scoperto per assaggiare il rumore che fa la ricchezza di quelli che tutto l’anno fanno questa vita.
E io, a piedi nudi, armato di un anacronistico skate e di una maglietta sudata con scritto Frank Turner, che sembra che l’abbia rubata al piccolo talmente mi va stretta, faccio a pugni con il paesaggio.
Una volta, qualche estate fa, abbiamo preso una casa che dava dritta sulla ferrovia. Dopo la ferrovia, bastava scendere nel sottopasso, il mare. Niente altro.
Andavo a correre fino al piccolo porto, annusavo l’odore di pesce, di piscio e di nafta, e tornavo.
Poi mi mettevo a leggere, davanti alla ferrovia.
Nuotavo contro corrente fino agli scogli e mangiavo frutta con il Piccolo.
Era un posto strano. Sembra, ancora oggi, che nessuno, lo conosca.
Ho un pino marittimo che butta aghi secchi esattamente sopra la mia testa, un triangolo di cielo che manda cinque stelle, l’odore della citronella e del rhum e l’umido del mare che arriva a bagnare la maglietta.
Ho il sonno di tutto quest’anno.
Rivedo in me oggi, pezzi mica tanto rimossi di quel me che ieri ha fatto parecchio bordello.
La differenza, se proprio vogliamo trovarne una, è che oggi riconosco questi pezzi, riccioli nero corvino dall’anima pura, e li accarezzo senza paura.
Credevo, quell’estate in cui mangiavo frutta con il Piccolo davanti alla ferrovia, che tutto fosse a posto.
Mai mi sarei aspettato l’autunno, l’inverno e la primavera che sono arrivate, puntuali come solo le stagioni sanno fare, poco dopo.
Credevo, in quella casa nascosta dalla ferrovia, di essere protetto da tutto il resto.
Senza sapere che tutto il resto era lì, ad aspettarmi come solo il destino e le coincidenze sanno fare.
Guardo le formiche, le cimici e le forbici che passano sul muro bianco.
Ad animaletti, quest’estate sembra che si sia a posto.
Guardo il triangolo di cielo.
Non ho più paura.
Non scriverò e non leggerò.
Ma sono capace di stare qui da solo, ad aspettare.
Questo, nonostante l’Adriatico, mi sembra un gran passo avanti