E sono cazzi.
Ho aperto la tenda, verde, della camera, e il cielo mi ha detto:
E sono cazzi.
Oh cielo, ho risposto.
Io la sindrome da lunedì non ce l’ho mica. Sono cazzi, professionalmente, quasi tutti i giorni.
Fidati,
oggi sono cazzi.
Imbocco la mastodontica tangenziale nuova nuova, che mi ricorda tanto Los Angeles. Guido una macchina che ha una radio con un potere straordinario. Non fare la radio. Tu cerchi una stazione. E non la trova. Ne cerchi un’altra. E niente. Dopo dieci minuti di ronzio, passi sulla tua musica. Ma la radio non legge il telefono. Che non legge la radio a sua volta. Che non legge niente. Cazzo.
Finisci con il telefono a massimo volume, incastrandolo nel sifoncino dell’aria condizionata.
Lo facevo con la vecchia Panda rossa.
I tempi sono maturi per rifarlo.
Il lunedì mattina adoro fare colazione da solo. Io adoro fare colazione da solo tutti i giorni. Ma mi rendo conto che la cosa non sia vista bene. C’è tutta una religione sulle colazioni. Spalmarsi il burro a vicenda sulle fette biscottate sembra essere di fondamentale importanza nell’amore. Io vivo il settanta per cento del mio tempo in hotel.
Posso forse spalmare il burro sulla fetta biscottata del mio vicino di tavolo, peraltro bavarese con i baffoni e per altro di dubbi gusti sessuali?
Eh no.
Il lunedì, inoltre, escono Afffari E Finanza e il Corriere Economia. Che devo assolutamente leggere. Assolutamente. Mi da un senso di pace. Sapere che le acciaierie kazake hanno ribilanciato gli investimenti aprendo le porte a fornitori stranieri mi da un senso di pace.
Inoltre, sia Affari E Finanza sia il Corriere Economia sono liberi. Come le due ragazze brutte della terza C. Tutti prendono la Gazza. Il lunedì mi va facile a me.
Scendo dalla macchina e mi appropinquo al mio bar di riferimento del lunedì mattina. E’ piccolo, sulla statale, ingolfato da uno spaccio di scarpe sulla sinistra e un outlet sulla destra. Ha tutti i giornali che voglio, una barista carina anche d’inverno e anche da sobri, un caffè decente, delle brioches che sembrano aver subito un brutto incidente aereo, ma hanno il loro sapore.
Tipo, quella di cioccolato, sa di cioccolato.
Ordino un caffè.
Mi impossesso dei giornali.
Tutto scorre, perfettamente peraltro.
– Ha la faccia stanca
Sono due anni che le do del tu. E lei mi da del lei. Come a dire: tieni le distanze vecchio porco lettore di economia del lunedì. Non voglio uomini il lunedì.
In effetti dovrei provare il martedì.
Magari cambia.
– Ho la faccia solita. Ho dormito poco. Ho letto tutta la notte.
– Leggere è bello.
– si, suppongo di si.
-….
Morte naturale di una conversazione nata sotto una cattiva stella.
Finirebbe qui se non fosse per me. Vengo dal mare. Ho bisogno di capire alcune cose che il mare mi ha detto.
– Tu quando ridi, cioè ti piace ridere con gli uomini?
Mi rendo conto che la domanda sia posta male. Sia da un punto di vista sintattico, sia da un punto di vista concettuale.
– In che senso?
– Ti piace che un uomo ti faccia ridere?
– Certo.
– Bene
Entrano due pensionati. Finisco il caffè, pago. Lascio sempre la mancia, da due anni. Da quando vado. Insomma, sono un signore.
– Lei è uno che fa ridere?
– E’ quello che mi stavo chiedendo anche io. Cioè si. So di far ridere. Ho fatto ridere molte donne. Ma mi chiedevo quanto. Tipo una classifica.
– Sembra sempre così serio
– perchè sto andando in ufficio.
– Eh ma le donne hanno bisogno di ridere sempre.
– ecco. Tu però non ridi mai.
– Io rido un sacco con mio marito. E’ simpaticissimo
E mi indica una foto con due in costume. Lei è lei. Con la panza da alcool. E un costume brutto. Lui è il marito. Suppongo. Sorride, in effetti.
– siete sposati da tanto?
– tredici anni
– cristo
– tutti bellissimi
– l’amore dura tre anni
– non credo
– fidati.
– che brutta cosa che ha detto. Dovrebbe farmi ridere. Non farmi riflettere.
– ma io non devo conquistarti. Tuo marito è un bell’uomo, grande e sorridente. Ridi con lui. Mi sembra ok.
– era per dire.
– era per dire anche la mia frase.
– si diverta in ufficio
– lo dubito ma ci provo.
Passano le ore. Scrivo una mail appassionata e pungente, piena zeppa di concetti importanti, e la perdo in un posto non ben definito del mio pc. Mi alzo per berci sopra un caffè, e me ne rovescio metà sul piede destro.
L’altra metà cade sulla gonna di una collega. Che tento di pulire. Ma palpeggiando maldestramente la coscia. Che credevo meglio, comunque.
Lei non ha il coraggio di lamentarsi.
Ma sta pensando che sono un rincoglionito e un porco.
Non sono telepatico. E’ che poi va in bagno a dirlo al marito sussurrandolo.
Ma il bagno è di fronte a dove mi fumo la sigaretta.
Io non sono rincoglionito. Mi ero distratto.
Una telefonata, una sola, cambia, e di molto, le carte in tavola.
Mi ritrovo seduto sul gradino del parcheggio.
C’erano due amanti, qualche anno fa, che venivano qui a fare l’amore.
Mamma, dove hai conosciuto papà?
Sulle scale seminterrate del parcheggio del centro direzionale.
No, non funziona.
Mi ritrovo seduto e vuoto.
Mi si sono sgretolate un’ottantina di certezze.
Lavorative.
Ho trentacinque anni.
Lavoro da diciassette anni.
Al momento vorrei, d’istinto, andare in pensione.
Fumo
Sopraggiunge una ragazza. Forse ragazzina. Con quelle canotte che vanno adesso, con i delfini blu piccolini, i jeans stretti, le ballerine. E sorride.
Suppongo si tratti del nuovo acquisto dei vicini.
La stagista brasiliana.
Anche perchè deve lavorare qui per forza. Nesssuno passerebbe di qui così per passare.
– buonjorno
– buongiorno
Mi hanno parlato di lei, i colleghi che l’hanno vista al bar. Conosco le sue tette ancora prima di averle viste.
– scus se disturbo ma ja d’ascendere?
Si siede a fumare due gradini sotto di me.
Fossimo stati ancora al liceo, sarebbe scattato l’amore immediato.
Mi da le spalle. E legge Facebook.
Poi riceve una chiamata e si alza di scatto.
E scappa.
Mah.
Finisco la sigaretta.
Chi sono io per preoccuparmi per il mio lavoro. Insomma, ho talento da vendere, un grande grosso curriculum, una propensione alle sfide e una salomonica capacità di aspettare.
Inciampo.
E’ un attimo.
Vedo la terra arrivare. Dentro me. Il pavimento. Ma non ho tempo di fare molto.
Cado in una sorta di posizione yoga. Come se facessi le flessioni con i piedi a tre scalini d’altezza.
Ho un gran bel riflesso.
Penso.
Mi rialzo.
Nessuno mi ha visto.
Eppure le scale, a spanne, sono otto anni che sono li.
Si
Ma non i Rayban che ho spappolato.
Cristo.
Mentre provo a elaborare velocemente una strategia che preveda il racconto di un marocchino, anzi uno zingaro, che è passato e li ha schiacciati, oppure che erano già schiacciati, oppure che io non vedo, sono ipovedente, e li ho schiacciati ma non lo sapevo, oppure negando tutta l’evidenza, la dolce donzella fa ritorno.
– credo di aver lasjiat qui i ochiali
E li vede
E mi guarda
E io tengo lo sguardo. Anche perchè ad abbassarlo di due tacche, dritti sulle tette, non si farebbe bella figura. Sento il bisogno di farlo. Di abbassare lo sguardo.
Non è il momento
Scoppia a ridere.
Ride.
Di gusto.
Hanno ragione i colleghi. E’ bella. Mica cazzi.
Le ballano anche le tette, quando ride. Che adesso che non mi vede posso abbassare lo sguardo di due tacche.
– ah ho capito. Non sono tuoi. Ridi per questo
ride e con la mano destra mi fa cenno di aspettare.
Io aspetto, baby. Posso farlo.
– tu non capijscj
– eh no. Decisamente.
– tu hai fato fascja. Nooo
e ricomincia a ridere
– tua fascja sembrava quela di cane pichiato. Tu hai fato fasjia molto cane pichiato. Tua fasja è stupenda.
– eh si
– davero. Tu hai fato fasja di bambino e cane insieme.
– ti ho rotto gli occhiali, credo.
– ah no preocupa. sono finti. pecato, perchè hano lenti colorate bele. Ma li ricompro.
– eh mi spiace. Ti devo qualcosa
– per cosa?
– per gli occhiali?
– figurati. Ofrime un cafè un jiorno. Eco. Meglio
– beh, ok
– no ma tu mogli molto fortunata. Tua fasja quando tu fai casate è stupendi. Cane bastonato
– …
– davero. Cane bastonato
E si allontana ridendo.
Niente.
Questo è quanto.
Da quando ho scoperto il tuo blog, ad ogni pezzo che leggo penso: “questo non lo mollo più”. Senza passare per una stalker, eh.. Però non ti mollo più.
figo
grazie
passa la voce a tutti quelli che conosci, e tatuati sulla spalla: Io Amo Franz.
Se ti sembra troppo, niente continua solo a leggere