Il Signor Bluster è un raffinato pittore, caduto in disgrazia, che passa la maggior parte del suo tempo seduto al tavolino contro la vetrina di un bar che è esattamente come lui. Caduto in disgrazia, trasandato, affacciato su una città insicura, al confine tra il centro e la periferia, dove i colori della pelle diventano tanti, troppi per convivere pacificamente. Perchè abbia deciso di stare proprio a quel tavolo, tutto il santo pomeriggio, non è chiaro a nessuno. E non interessa a nessuno. Beve birra, lentamente, guardando sempre fuori dalla vetrina, verso la rotonda. Come se si aspettasse delle risposte, arrivare dal vialone. Invece passa solo la 57, beccheggiando come un traghetto pieno di gente, e curvando verso la zona industriale.
Il Signor Bluster è un pittore, è un uomo, e non vorrebbe essere nessuna delle due cose. Sembra non interessare a nessuno, la pittura. E nemmeno l’essere un uomo. E sono le uniche due cose che il signor Bluster sa fare. Oltre che bere, per un intero pomeriggio, birra.
Il signor Bluster è il protagonista del racconto che sto finendo. Sembra una storia stupenda. A vederla così. Tutti gli anni, quando c’è questo concorso letterario, scrivo un racconto stupendo. Lo finisco di corsa, lo correggo, lo rifinisco, lo cambio dove necessario. Lo ritaglio, amorevolmente, lo accarezzo. E poi lo stampo. Lo metto in un cassetto, sotto ai pigiami da adolescente che le mie sorelle si ostinano a regalarmi. Quando il racconto vincitore del concorso viene pubblicato, lo leggo. E mi limito a constatare se sia meglio o peggio del mio.
Ho vinto le ultime sei edizioni.
Il Signor Bluster non sarà da meno. Ha una storia che vale la pena di essere raccontata. Di freddo, di amore, di quadri, di uomini e donne, di periferie, di amore.
Io scrivo solo di storie che valgono la pena di essere raccontate. Per questo scrivo poco.
Il signor Bluster ha trovato un biglietto, un pomeriggio di luglio, che diceva così: “tu dici di amarmi, ma so che menti. Quello che dipingi, Eric, è molto diverso da quello che sei veramente. Dovresti pensarci”. E’ stato lì che il Signor Bluster ha, effettivamente, smesso di dipingere. E forse di vivere.
Tutti hanno un momento preciso in cui un granello di sabbia incastra l’ingranaggio, inspiegabilmente. Qualcuno la chiama fine. Qualcuno li chiama inizi. Qualcuno ci rimane sospeso, a quell’ingranaggio fermo, osservando la vita da una vetrina di un bar.
Io adoro, forse questa è la mia perversione più grande, il mare, i motori, il rhum, le donne e gli ingranaggi della vita bloccati e sospesi. Quei precisi momenti in cui, cazzo, tutto finisce. Tutto inizia, d’accordo, come preferite. Adoro, da sempre, raccontare queste cose.
Ho finito oggi di scrivere dei ragazzi di Anvil motociclette.
Dovreste davvero comprare Kustom World. Sempre e comunque. Non solo perchè, in breve tempo avrà un grande valore storico, visto che ci scrivo io. Ma anche perchè Kustom World è una splendida storia di coraggio e di persone. E’ un’impresa, far uscire una rivista, di questi tempi. E’ un’impresa, rimanere puri e duri, di questi tempi. Kustom World è un’impresa, e ogni numero è una sfida. Ma, se guardate bene dentro tutte le pagine, di ogni fottuto numero, ci trovate tutta la passione di un gruppo di ragazzi. E tutto il coraggio di un grande cuore.
Non scriverei mai per una rivista, se non fosse la migliore.
Questo è poco ma sicuro
Dovreste stare molto attenti ai ragazzi di Anvil. Perchè sono una storia bellissima. Ovviamente. Non scriverei mai di storie noiose, o di uomini che non abbiano sentito, per un secondo solo o per un’eternità, il fermarsi dell’ingranaggio.
Cazzo, quanto scrivo.
PS: Il Signor Bluster, non lo aveva mica capito, quel cazzo di biglietto. Gli ci erano volute due birre, medie, calde, sgasate. Impossibile pensare che un foglio di carta, dello spessore di un millimetro, potesse fermare una vita intera. Ma era, in effetti, esattamente quello che era successo.
Surf it, fritz.