Ho iniziato uno dei cinque libri su Steve Jobs che sono parcheggiati nei pressi del mio letto da tempo immemore. Anzi, dalla morte del vecchio Steve. Il fatto è che a me, fondamentalmente, del vecchio Steve non me ne è mai fottuto moltissimo. Grande manager, visionario, ricco, buddista, egocentrico, dispotico, concreto. Tutte doti che già possiedo, a parte il buddismo e la ricchezza, che sono in ogni caso in lista nelle cose che voglio comprarmi prima o poi. Ho smesso di leggere i libri dei grandi manager quasi subito dopo aver iniziato. Sostanzialmente penso di essere allergico. Lievemente, non troppo. Arrossamenti dell’anima, lieve gonfiore dell’ego, nulla che non possa passare con un buon bicchiere di alcool. Solo che, al momento ho due ottime ragioni per leggere questo libro. La prima è che ho finito Mark Haddon. Signori, quanta umanità, davvero. Quanto è contemporaneo, concreto, e docile da leggere il signor Haddon. Se fosse un paio di jeans, il Signor Haddon, sarebbe certamente un paio di jeans Gap. Di moda, ma reali, economici, molto concreti. Bel libro. Però finito. Tra l’altro esco dalla doppietta Pennac-Haddon, quindi so benissimo che il terzo libro, in ogni caso, deve per forza essere un pacco tremendo. Non esiste la tripletta della buona lettura. Quindi ho evitato accuratamente qualsiasi libro serio. La seconda ragione è deliziosamente pratica: devo andare in libreria. Annusare, curiosare, commentare, e comprare dei libri, se mi rimane tempo. Ieri spostando un paio di copie di Wired, ho trovato tutta la saga di Steve Jobs. Ricordo esattamente dove ho comprato questo libretto e i suoi simili: Hudson News di Malpensa, terminal 2. In quel momento epilettico che mi succede sempre prima di un lungo viaggio, nel quale compro, nell’ordine: due riviste di moto, una rivista di tecnologia, una penna, un quaderno, due pacchi di tabacco, un libro, il Corriere, la Repubblica e il Sole 24 Ore. Di tutto questo, solitamente, prima di addormentarmi, ubriacarmi o andare in fissazione compulsiva su qualche film di supereroi con i sottotitoli in coreano, leggo solo la Repubblica. Il resto viaggia nel mio zaino. Tornando a casa con me. E’ uno di quei libri scritti sull’onda dell’emozione, quando ancora il morto era caldo. Valore intellettuale dello scritto: zero. E’, era già appena stampato, pronto per le bancarelle di seconda mano della Versilia. A livello business, è di interesse come gli scritti di Galgano sul sistema Toyota. Letto uno, letti tutti. E soprattutto, che due coglioni. Ma è scritto grosso, e alla fine di ogni capitolo riporta le cose importanti dette in precedenza. Cose che di norma mi forzano a non comprare un libro. Chissà che cazzo mi era passato per la testa a Malpensa.
Durante una riunione, questa mattina, cercavo di riempire il vuoto cosmico intellettuale facendo altro. Nello specifico, stavo tentando di forzare il mio iPad a scaricare un’app rivoluzionaria per sincronizzare la posta triangolando un server e due NAS. Roba pirotecnica. L’obbiettivo di questa straordinaria app è quello di farmi leggere la posta. Ma in versione nerd. Non con la solita app. Con una figa, che fa una cosa ordinaria, facendola sembrare straordinaria. Un po’ come quei baristi che per farti un cuba, lanciano in aria la bottiglia di rhum, saettano la bottiglia di coca prima di farla scendere dall’alto, e lanciano i cubetti di ghiaccio. Inutili scampoli di dimostrazione dell’esistenza dell’anello mancante tra orango tango e sapiens. Beh, questa cazzo di app non ne voleva sapere di funzionare. Ho perso il controllo, anche perchè nello stesso tempo cercavo di rispondere a una mail sul telefono, e ho smesso di fingere interesse per la riunione, rendendo plateale il fatto che non me ne fregasse un beneamatissimo cazzo ne degli outlook industriali italiani del prossimo quinquennio ne della difficile posizione di Confindustria nel panorama associativo europeo. Era una di quelle riunioni in cui ti siedi e pensi: perchè sono qui? Beccato, ho recuperato il self control, immedesimandomi immediatamente, e ritornando sui miei passi. Ho sottolineato che ci sarebbe voluto, in questo difficile momento di convergenza, un approccio più flessibile e aperto nel management. Mi sono permesso di citare, a sostegno della mia tesi, il caso lampante del primo iMac, vincente dimostrazione del perfetto controllo manageriale di Steve Jobs su una Apple, fino a poco prima, dichiarata prossima al fallimento. E il bello è che un paio di idioti mi hanno anche dato ragione. Che tenerezza infinita. Forte del fatto che mi sono vestito come Marchionne, ovvero ho dimenticato la riunione e sono arrivato in ufficio con un maglione blu più adatto a un summit di scout che a un’azienda, ho continuato la mia filippica, chiudendo in bellezza, ovvero suggerendo la lettura di un libro sul management nell’era di Jobs.
La cosa, peraltro, mi ha permesso di ritornare felicemente a farmi i cazzi miei per una buona mezz’ora. E durante il coffe break ho anche ricevuto i complimenti da uno dei dinosauri della presidenza. Questi simpatici nonnetti settantenni, capitani di un sistema industriale morto e sepolto, che guidano associazioni che hanno l’obbiettivo di creare un futuro per i giovani. E’ come se mettessero un industriale corrotto e platealmente colluso, i cui metodi di crescita imprenditoriale rispecchiano l’etica che ha Rocco Siffredi quando si avvicina all’ano di una attrice porno dell’Est Europa, a capo di una coalizione di governo, e la stessa venisse votata da un sacco di gente. E’ poco credibile. Ma succede. Sono i sintomi ad essere preoccupanti, per noi che siamo nati nella patologia e non abbiamo mai visto questo corpo-Stato sano.
Ritornando verso casa, pensavo, come al solito, a una moltitudine di cose. La solitudine da macchina, ultimamente, mi crea scompensi intellettuali abbastanza gravi. Penso troppo.
Penso a molte cose, anche di diverso spessore umano. Per dire, penso alla mia vita, al mio futuro, a mio figlio, all’amore, all’Amore, ai baffi di Mercury, allo stimolante processo con il quale un pomeriggio di sole mi ha sconvolto gli ormoni, a Roma e ai suoi tramonti, al mare.
Vorrei i baffi di Mercury, un tramonto di Roma, del mare, l’Amore. Se possibile, tutto insieme.
Pensavo anche a un racconto che ho scritto, l’ultimo, durante le vacanze di Natale. E che ho buttato proprio ieri. Perchè era una storia troppo triste. Perfino per me. Non scriverò mai un romanzo, se mi commuovo per i personaggi che invento. Se soffrono, io soffro. Quindi cerco di non farli soffrire troppo. Pensa che palle. Nessuno che si lascia, nessuno che si uccide, nessuno che si fotte. Amici che restano amici, amanti che restano amanti. Che due coglioni. E poi, il fantasy è un genere per ragazzini e bambinoni, come il porno. Quindi non scrivo romanzi. Non sono capace di far soffrire le mie creature. Scrivo racconti, perchè nello spazio di un racconto succede qualcosa. E io lo racconto, appunto. Ma è successo anche qualcosa prima, e succederà qualcosa dopo. Insomma c’è speranza. Ma questo racconto, era davvero troppo triste.
Se volete scrivere un romanzo, semplicemente abbiate una grande compassione per i personaggi che create. Far nascere qualcuno per farlo soffrire, è proprio da stronzi.
E, a proposito di uso sconsiderato del pene, uno dei modi per allungarlo è il seguente: (lo dico perchè circa il sessanta percento dei lettori di questo pezzo arriverà qui per ricerche su google tipo: ” modi per allungare il pene, allungamento del cazzo, cazzo allungabile, cazzo con i baffi di Mercury, cazzo iMac, iCazzo con i baffi)
dicevo:
allungare il proprio membro è possibile in tre modi: meccanico, chimico, intellettuale.
Meccanicamente, si possono apportare dei piccoli pesi di piombo sul glande, in modo che, nella deambulazione, il peso del piombo tiri il pene, invitandolo a un naturale allungamento. Si parla di millimetri al mese. E poi, credo faccia un male boia. E poi, se viaggiate, occhio a non suonare al controllo di sicurezza in aeroporto. E’ difficile spiegare due piombini appesi al cazzo.
Il modo chimico prevede l’uso di sostanze idro cortisoniche. E’ possibile iniettarle, tecnica usata nel porno anni novanta, oppure massaggiarle. L’effetto dell’iniezione è immediato, proprio perchè il membro acquista volume e spessore, ma tende a non essere efficace nel tempo. L’effetto del massaggio è più a lungo termine, e anche più divertente. La sega al cortisone è sicuramente meglio della puntura. Il terzo modo, la terza via, è quella intellettuale. La meno rischiosa e più semplice. Convincetevi di avere un cazzo lungo. Decidete prima quanto significhi per voi. Lungo. Beveteci sopra. Continuate a ripetervi di avere un cazzo lungo. Ripetetelo anche agli amici. Ho un cazzo lungo. Bevete sempre molto. In presenza di un possibile partner, sottolineate che per voi è ok andare avanti con la serata ma lui/lei deve sapere che avete un cazzo lungo. Molto lungo. Ecco, magari non si allunga davvero, ma c’è una buona possibilità che abbiate convinto non solo voi stessi, ma anche il vostro/la vostra partner di avere un membro di tutto rispetto.
Qui, amici della ricerca su Google, vi lascio con due quesiti: ma vi sembra credibile cercare questo tipo di risposte su Google? (e vi sembrano domande da fare a un algoritmo…) E poi: ma è più importante la lunghezza o il saperlo usare bene? (che è quella domanda a cui gli uomini con il cazzo corto e le donne ben educate rispondono: saperlo usare bene. Mentre gli uomini con il cazzo veramente lungo e le donne sincere rispondono: il cazzo lungo).
Fortunatamente, uomini con il cazzo lungo e donne sincere sono rarissimi esemplari in estinzione.
Finalmente mi hai fatto ridere! sono certo che tutti coloro che ti leggeranno dopo aver fatto qualche strana ricerca su google alla fine saranno insoddisfatti ma divertiti 😀