Ho smesso di guardare sotto il letto, in questo genere di hotel, quando otto anni fa,l’ultima volta che l’ho fatto davvero, ho trovato una trappola per topi. Mi limito a verificare che nel letto non ci sia una presenza eccessiva da peli pubici o animali piccoli, neri e con molte zampe.
E’ il prezzo da pagare per stare downtown, a ridosso del quartiere a luci rosse, praticamente dentro la fila infinita di biciclette accatastate lungo uno dei canali. E’ il prezzo da pagare per dire di essere in tutti i meeting, in tutti i party, in tutte le cene.
Cammino dentro al freddo pungente, tenendo stretto il cappotto e i pensieri, troppo stanco per andare avanti con la serata.
Andiamo con ordine.
Martedì 6.50
La sveglia suona, ma non se ne sente un grande bisogno, non dormo da due ore. Ho visto le quattro, le quattro e un quarto, le cinque, le cinque e venti. Le sei. Finalmente mi alzo. Arrivo in aeroporto con la coscienza di essere in ritardo. Lo sono. In meno di venticinque minuti mi ritrovo infilato contro un finestrino, di fianco a una grassa sudamericana. Mi addormento ancora prima che venga chiuso l’imbarco.
Martedì 11.40
Esco dalla Sky Lounge rasato, pulito, con un caffè decente sullo stomaco e un impellente desiderio di fumare una sigaretta in pace. Il telefono continua a suonare. Ci sono dei giorni in cui non ho voglia di parlare con nessuno. Sono i giorni in cui mi cercano tutti. Ma proprio tutti.
Prendo il treno dimenticandomi di contare le fermate. Devo stare incollato al finestrino per cercare di capire qualcosa. Piove acqua gelata.
Martedì 12.50
Finisco la presentazione e mi guardo intorno. Sono ancora tutti vivi. E’ già un inizio. Cerco un posto per mangiare. Finisco con un turkish wrap in mano. Cerco di capire cosa ci sia dentro dal sapore, ma è un’indistinta pasta di pollo piccante con verdure. Per lavorare più intensamente sull’ostruzione delle mie arterie, ci aggiungo maionese e senape. Attraverso una fase complessa della digestione nelle prime tre ore del pomeriggio, quando il turkish wrap fa di tutto per tornare allo scoperto. Tra un conato e l’altro conosco un interessantissimo idiota che startuppa qualsiasi cosa. Dice proprio così. Io startuppo. Bravo. Per chiudere il cerchio anticipo di qualche minuto il brindisi delle cinque, aprendo rumorosamente una bottiglia di champagne.
Martedì 17.00
Cammino in un corridoio secondario della fiera, leggendo mail sul blackberry e sorseggiando il quarto bicchiere di champagne. Vorrei proteggere le persone che amo da tutto questo. E la cosa ha due grandi lati positivi: il primo è che le persone che amo sono pochissime. Anzi, meno. E la seconda cosa positiva è che “tutto questo” sono io. Quindi non mi dovrebbe essere molto difficile proteggere le persone che amo da me stesso. Mi basterebbe sparire.
Martedì dalle 18 alle 20
Cerchiamo di prendere un taxi per circa un’ora. Alla fine, in mezzo a pioggia gelata e vento, posso constatare che il mio completo è andato completamente a puttane, il cappotto è zuppo, e il mio bisogno di paracetamolo si impenna come la quotazione in borsa della Apple il giorno di uscita del primo iPod.
Arrivo in hotel, controllo sommariamente la presenza di peli pubici e altri pezzi umani. Mi cambio. Sono pronto per la cena.
Martedi 21.00
Il ristorante è sempre o thai o argentino. Ordino riso, zuppa al curry con cocco e pollo, noodles fritti, involtini thai, del the verde e del vino rosso. L’argomento di conversazione è la California. Mi lascio dondolare dal cazzeggio verbale guardandomi bene dall’incrociare qualsiasi sguardo. Rispondo solo se interpellato, e sorrido meccanicamente a tutti. Indistintamente, forse eccessivamente. E’ normale sorridere per tre minuti a una cameriera che vuole solo sapere se vuoi dell’altro riso?
Martedì 22.00
Arriviamo al Player’s trovandolo deserto. Non capisco nemmeno perchè torniamo sempre qui. Anni di desolanti esperienze. Chiamalo pure party, ma siamo sempre noi. Le solite facce. Si vede che uno, alle piccole tristezze urbane date dalle sue abitudini, si affeziona.
Ordino del rhum e mi arriva del Bacardi bianco. Spaccherei il bicchiere contro al muro.
Partono i Vampire Weekend, mentre osservo dei capelli biondi muoversi qualche tavolo più in fondo. Sogno per un secondo di avere qui dei precisi capelli biondi. Entro in un mood paragonabile alla depressione ma peggiore.
La sera mi succede.
Dovrei scrivere di questo, penso.
Mi arriva dritto al naso quel profumo. Quel preciso profumo. Lo ricaccio nello stomaco con un lungo sorso di Bacardi. Io brucerei i locali che danno il Bacardi quando chiedi del rhum. E brucerei me stesso quando non posso avere quello che voglio. Forse sto già bruciando.
Martedì 23.50
Ci spostiamo in un posto molto meno etico, dove il confine tra orride lussurie e stronzate da trasferta è una sottile tenda rossa di lino. Bevo del rhum, caldo, osservando la maestosa tecnica con la quale una giovane russa porta a casa un tedesco con parrucchino e badge della fiera ancora al collo. Lo arrapa talmente tanto che lui ha, oggettivamente, gli occhi fuori dalle orbite. Finisce tutto qui. Sempre. Una puttana, nemmeno tanto bella, che in una serata piovosa ti sembra drammaticamente stupenda. Tanto da buttarci un po’ di soldi, un po’ di dignità e venti minuti del tuo tempo. Spero davvero di non arrivarci. Almeno prima dei cinquanta. Spero di arrivare ai cinquanta. Vivo. In questi posti dovresti sempre entrare sobrio e tranquillo, per evitare la mattina dopo di svegliarti e ripensare alla russa, alla Russia, a tua moglie, ai tuoi figli.
Rientro nel mood sbagliato. Mi ricordo perfettamente i sandali neri, forse estivi, portati talmente bene da assomigliare a un’opera d’arte. E quei piedi. E quelle gambe. Cristo. Mi arrivano immagini dritte in faccia, le coccolo per qualche secondo e le rimetto a posto. Mi avvicina una puttana. Sembro sicuramente il genere di persona che ha oggettivamente bisogno di un pompino fatto controvoglia. Sembro. Non le rispondo nemmeno. Il profumo è urtante. Roba di fiori, troppo dolce.
Finisco il mio rhum, e mi incammino solo in hotel.
Mercoledi 06.00
Mi sveglio parzialmente congelato e non riesco a far funzionare l’acqua fredda nella doccia. Esco parzialmente bollito dalla camera e mi infilo in un tavolino della hall per fare una piacevole oretta di mail. Non hai tempo di pensare troppo. Eseguire. L’ultimo coglione che mi ha guardato sorridendo e mi ha detto quanto fossi fortunato a viaggiare per lavoro è stato liquidato con un’occhiata. Non rispondo nemmeno.
Sul treno per la fiera osservo le mie scarpe, una volta lucide e perfette, in lenta decomposizione per via della pioggia mista al sale messo in strada per la neve.
Leggo il Financial Times del mio vicino. Respiro profondamente, cercando di recuperare mentalmente l’agenda del giorno. Non ricordo nulla. Il vicino legge troppo lentamente. Mi viene, seriamente, voglia di girargli le pagine.
Mercoledì 09.00
Avere un pass VIP permette di: entrare prima degli altri. Bere caffè Costa a un buffet con muffin, caffè Costa e banane. Il Caffè Costa è una delle punizioni peggiori che ci siano per un italiano. Il pass VIP permette inoltre di usufruire di un guardaroba, di una hostess per le traduzioni e di un pranzo servito in una stanza remota di un padiglione remoto che nessuno a oggi è riuscito ancora a trovare.
Avere un pass VIP è importante per me? Quanto incide sulla mia felicità media, mi chiedo mentre un giapponese mi tartassa di domande. Il suo inglese è ridotto all’osso, la mia attenzione è ai minimi termini, è evidente che finiremo dolcemente questa conversazione tra pochi istanti. Giusto il tempo di lasciare sospesa una domanda.
Fumo una sigaretta cercando di concentrarmi sulle cose importanti di oggi. Fare una lista mentale, mettere ordine, eseguire. Ancora.
Arriva la nostra standista. Primo: avere il prodotto giusto. Secondo: posizionare il prodotto. Terzo: qualificare l’audience. Quarto: riposizionare. Quinto: pianificare. Sesto: eseguire. Anni di teorie di marketing. Costosi libri, costosi corsi, costosi seminari. La mia idea, vecchia e terribilmente maschilista, è che una figa funzioni molto di più di un buon posizionamento di prodotto. E come tutte le idee terribilmente maschiliste e vecchie, funziona alla perfezione, in un mondo terribilmente maschilista e vecchio. Mi assicuro che la giovane sia sorridente. Cammina su tacchi alti, e sorride a tutto quello che si muove nel raggio di due metri dalle sue tette. In effetti, esegue alla perfezione il suo compito. Puoi avere il prodotto migliore del mondo, ma non devi mai dimenticare di associarlo al prodotto più cercato del mondo. Spero vivamente che sappia servire degnamente lo champagne.
Mercoledì 11.30
Sapevo che non ne sarei uscito bene. Ma scendere in campo sapendo di perdere non aiuta molto. Ho giocato la mia partita. Ma mi hanno fottuto. Professionalmente, scandendo le parole, ordinatamente fottuto. Succede. Mi guardo nello specchio del cesso mentre mi lavo la faccia. Ho bisogno di paracetamolo e di musica. Tutti possono fallire, a volte.
Ritorno allo stand, mi siedo nel divano più nascosto. Chiedo caffè e musica. Togliere Lady Gaga e mettere Frank Sinatra.
Osservo compiaciuto quanta gente si fermi, in effetti, a lasciare un biglietto da visita e una sbirciatina nella scollatura della nostra giovane e intraprendente standista. Che cazzo di mondo.
Frank Sinatra in piena fiera, in pieno giorno, mi fanno notare, non è molto cool. Ignoro l’evidente limite intellettuale dei miei interlocutori e lascio che Fly me to the Moon imperversi diffondendosi come un piacevole profumo.
Mercoledì, persa ufficialmente la percezione del tempo
Procedo felicemente verso il cesso. Non tanto per necessità. Ho bisogno di nascondermi per una decina di minuti. Sono stato messo in quattro diverse riunioni. All’ultima non ho nemmeno capito con chi stavo parlando. Recito la mia parte, come richiesto, in spagnolo, inglese, arrampicandomi su un provvisorio francese sgrammaticato.
Ho mangiato un hamburger organico seduto a un tavolo di ingegneri felicemente eccitati dall’idea di poter parlare in libertà. Ogni tanto fa un gran bene, sedersi in mezzo a menti quadrate che esprimono concetti quadrati, in ottiche quadrate. Tutto sembra terribilmente ordinato.
Recupero energie, mi infilo due pastiglie di vitamine, e procedo spedito verso la settima riunione della giornata.
Mi fermo davanti a una balconata.
Posso sentire tutto il vuoto che ho intorno.
Lo posso respirare. Rimuovo l’idea. Avrei bisogno di champagne. Devo tassativamente far finire il tutto dentro una gloriosa bottiglia di champagne.
Mercoledi 18.00
Spero di poter confessare, finalmente, che inizio a odiare le nuove leve. Le adorabili nuove leve. Queste fottute schiere di ventiseienni, aggressivi e pronti a tutto per un posto a tavola.
E’ il genere di cocktail party dove ti senti di troppo anche sei sei stato invitato da quattro persone diverse. Bevo champagne. Questo mi fa sentire momentaneamente meglio.
Mangio formaggio olandese, cioccolato belga e prosciutto spagnolo. Uccido tutti i buoni propositi alimentari in meno di un quarto d’ora. Esco a fumare accompagnato da due giornaliste. Non capisco bene il senso del discorso, ma tengo botta. Mi sale lo champagne, mentalmente mi sale una voglia incredibile di essere seduto sulla mia moto, solo. Invece tengo bene botta alle domande. Rispondo correttamente. Me ne compiaccio.
In quaranta minuti mi cambio, mi osservo allo specchio, mi compatisco un po’ e sono pronto alla cena di un’azienda di cui non ricordo bene il nome. Non conosco nessuno.
Mi incammino ascoltando Frank Turner. La musica è il mio sostituto all’amore. Mi piacerebbe che lei fosse davvero innamorata di me. Totalmente. E se l’amore è davvero l’unica cosa che abbiamo bisogno, la musica non mi salverà certamente.
Penso, a volte, che le scelte che ho fatto nella vita non siano state tutte giuste. Adoro accarezzare i miei errori, che tratto come figli. Mi appoggio alla ringhiera, guardando l’acqua scorrere veloce sotto i miei piedi. Fa freddo. Dentro e fuori. La notte è così. Mi porto a spasso i dubbi e le incertezze. Lascia e ama. Rende meglio in inglese. Leave and Love.
Mercoledì 20.00
Vengo salvato da quattro vecchi amici. Quattro vecchie glorie del settore. La fortuna di essere qualcuno, in qualche settore di qualche industria, di qualche mercato, è anche questa. Vieni riconosciuto per strada dai disperati come te. Vengo salvato dai miei pensieri, dalla mia fame. Stavo per essere divorato. Mi viene passata una canna. Fumo solo qui. E solo in queste sere. Tutti gli anni. Abitudinario delle brutte abitudini. La fame dell’anima si può placare in pochissimi modi. Non certo con una canna. Ma i quattro tirano fuori gloriosi ricordi, vecchie stronzate, splendidi aneddoti. Sembra davvero che sia una vita intera che siamo insieme. Forse siamo soli tutti allo stesso modo. Vorrei scoppiare a piangere, ma mi limito a un più tranquillo sospiro.
Vorrei stare solo, con i miei fallimenti personali. Invece sto con dei falliti professionali, camminando veloce verso il ristorante. Fa freddo e non ci sono stelle in cielo.
Mercoledì notte
Smokey, Prinz, Escape. Dopo aver evitato una congregazione di assatanati del latino americano, finiamo allo Smokey. Ho dei seri problemi di integrazione con la musica latino americana. Amo gli scrittori latino americani, amo la cucina latino americana, amo molte cose di quel continente. Ecco, però due cose non riescono a funzionare con me: la musica latino americana e i villaggi turistici. Se le due cose sono insieme, provo ribrezzo per la vita e mi ubriaco solitario al bancone del bar.
Lo Smokey è pieno zeppo. Gente che crede nella house music. Cantano addirittura. Hotel, Motel, Holiday Inn. Hotel, Motel, Holiday Inn. Mi prendo terribilmente bene osservando il DJ. Mi metto sotto la consolle, e lo osservo adorante, perdendo la percezione del tempo.
Finisce sempre in una roulette mortale nella quale tutti iniziano ad offrire da bere, e non si finisce più. Mi ritrovo in mano, contemporaneamente, un bicchiere di rhum e un Vodka Tonic. Rovescio il bicchiere di rhum dentro la vodka e prendo una canna. Mi siedo su un divanetto, sprofondando nei miei pensieri.
Riconoscere solo le canzoni di Jennifer Lopez è il chiaro segnale che non hai più l’età per mischiarti a questa orda di giovani.
Non so perchè, ma finisco a parlare con il butta fuori. Cerco di spiegargli la fatica immane che sto facendo per portare avanti tutto questo casino. Si vede dai tuoi occhi, mi risponde. Ma non credo abbia capito.
Chiedo di essere riportato in hotel. Mi sembra ragionevole, visto che in due ore devo lavarmi e tornare in fiera.
La disperazione di un uomo è pericolosa. La disperazione di quattro uomini è letale.
Finiamo in un posto con il metal detector all’ingresso. The Nasty. C’è fumo, musica a palla, gente. Inizio ad avere un ritardo di quasi venti secondi tra quello che penso di fare e quello che realmente faccio. Cerco di ordinare dell’acqua a una barista bella come il peccato.
Chiedo di essere riportato in hotel. Mi viene passata una canna.
Incontro due colleghi tedeschi, riprovo a lanciare l’idea di tornare in hotel. Mi viene passato un Vodka Tonic.
Decido di procedere solitario. Mi incammino verso l’hotel.
Il fatto che i caffè stiano aprendo mi fa supporre che dall’ultima volta che ho guardato l’orologio compiacendomi del fatto che fosse solo l’una e tre quarti, deve essere passato parecchio tempo.
Entro nella doccia, bollente. Mi vesto. Scendo a fare colazione.
Tre pastiglie di paracetamolo, due integratori, un gastroprotettore, due rilassanti e una bustina di magnesio.
Prendo il treno per la fiera.
Mi catapulto nella sala VIP. Seleziono accuratamente un tavolo in disparte da tutto e tutti. Controllo le mail. Il ritardo tra quello che penso e quello che faccio è rientrato nella soglia di dieci secondi. Accettabile. Parlo il meno possibile. Ordino caffè.
Mi servono mediamente due ore, otto pastiglie e tre caffè per riprendere il dominio di quasi tutto me stesso. Ovviamente vado per priorità, controllando che le funzioni fondamentali siano operative e tralasciando il resto. Sudo come un tossico. Sbadiglio continuamente, e per restare in piedi mi muovo di continuo. Incontro persone, chiacchiero, commento, ascolto. Non ascolto nemmeno una parola, ovviamente. Sento sudare le palle. Non è un buon segno visto che sto a due gradi, con vento gelato, a fumare. Tra le mie palle e il vento gelato c’è un sottile strato di frescolana. E sudo.
Verso l’aeroporto faccio mente locale.
Voglio mangiare thai, è una tradizione, e ho bisogno di una doccia, di un giornale e di moltissima solitudine.
Sono in grado di comprare il tutto, solitudine compresa, in cinque minuti esatti. Sdraiato su una poltrona automassaggiante, aspetto che il peso di tutto questo mi cada addosso.
Vorrei proteggere le persone che amo.
Fortunatamente, in questo periodo mi amo molto poco. E’ difficile riuscire a proteggere se stessi da se stessi.