Mi ripeto, come un mantra, "non potrà piovere per sempre", mentre cerco di tenere il fiato per non allargare la pancia. Sono infilato sotto una tettoia di quasi venti centimetri, maledicendo la lunghezza dei miei piedi, mentre guardo malinconico le scapre su misura che si bagnano. Penso alle molecole d'acqua che penetrano il prezioso intreccio di cavallino. Sulle scapre di cavallino posso tenere una lezione universitaria, visto che so come si lucidano, come si nutre il cavallino dopo una lunga giornata di lavoro, come lo si tiene in forma per evitare le fastidiose piege, come si lavora la punta per tenere alla larga le righe. Ho una piccola mania ossessiva per le scapre eleganti, tanto da aver inserito il livello di lucidità della scarpa nelle tre prime posizioni dei criteri di giudizio di una persona in ambito lavorativo, appena dopo la rasatura e il colore della cravatta. Sento le gocce di pioggia infilarsi nel collo, proprio per finire nella schiena. Novembre, maledetto. Sta piovendo da giorni, esondano fiumi, straripano ruscelli, ci sono certi sottopassi dove organizzano tour per sommozzatori, eppure non sembra voler smettere. E io sono a cento metri dalla mia macchina, sotto un diluvio torrenziale, sicuro che smetta. "non pioverà per sempre". Però adesso ce la sta mettendo tutta. Io non uso ombrelli, non ne ho mai avuto uno. Forse alle elementari, ma non ricordo. Alle medie ne ho persi due sul tram, per andare a scuola. Non esisteva ancora la definizione di mobbing, così ho detto di averli persi e non che i due idioti di terza media che facevano il viaggio con me hanno lanciato il primo proprio alla fine di Piazza della Repubblica e il secondo se lo sono tenuti. Controllo ancora su Facebook che le loro vite siano tristi e ignobili come le ho sempre immaginate. Poi al liceo prendere la pioggia è diventato di colpo figo. Avere il quaderno Monocromo bagnato e inutilizzabile era un chiaro segno di superiorità intellettuale. La massiccia dose di ormoni prodotti dal mio corpo mi rendeva fondamentalmente indenne a ogni tipo di evento atmosferico, e la pioggia mi scivolava semplicemente addosso. All'università la pioggia era un'ottima scusa per infilarsi sotto l'ombrello di qualche compagna di corso. Magari andava nella direzione opposta. Ma era virtualmente nelle tue mani. Per dovere di cronaca, la tecnica dell'ombrello non ha mai funzionato. Poi è iniziato il lavoro ed è arrivata la macchina. Ho fatto un rapido conto dei kilometri fatti in dieci anni di lavoro qualche tempo fa. Ho felicemente superato, senza contare le migla aeree e ferroviarie, il milione di kilometri. Anni di diesel, cravatte e centri commerciali. Anni in cui, nei giorni di pioggia, si trattava semplicemente di parcheggiare al coperto.
A oggi non ho un ombrello di proprietà. Possiedo un paio di ombrelli in condivisione con La Signora. Uno è rosa, talmente piccolo che mi spunta il naso. L'altro si sta lentamente decomponendo, appoggiato sul calorifero all'ingresso due o trecento diluvi fa.
Qualche volta, come nei film, mi piace anche camminare sotto la pioggia. Tipo una volta ogni settemila giorni di pioggia. Essendo terrificantemente metereopatico, non vedo niente di positivo in una giornata di pioggia. Essendo residente al Nord e metereopatico, tendo a non vedere nulla di positivo nella vità da ottobre a marzo. Una lunga stagione di letargo motivazionale, dove mi limito alla sopravvivenza stretta. Mi piace la pioggia d'estate, quella calda di fine giornata. Mi piace guardare il mare mentre piove, perchè sembra un circolo infinito di acqua sull'acqua e poi adoro immaginare i pesci che se ne fottono. Mi piace la pioggia nelle fotografie. La pioggia e il bianco e nero sono perfetti, come la schiuma e il cappuccino.
Resto spalmato sotto la piccola tettoia, con lo sguardo perso nel vuoto, tra l'edicola e il fiorista, mentre mi ripeto che alla fine smetterà. Forse si tratterà di giorni, forse di mesi. Sopravviverò, come il santone indiano che è rimasto sotto l'albero senza mangiare. Sento il bisogno di nicotina, ma è impossibile assumerne, a meno che non mi dia fuoco all'abito, bruciando anche il tabacco. Ho bisogno di pisciare, potrei pisciarmi addosso per spegnere l'abito in fiamme dopo aver aspirato un paio di boccate di fumo. Tutto intorno il mondo viaggia, armato di poderosi ombrelli, come se nulla fosse. Lentamente, come previsto, la pioggia aumenta sensibilmente. Da temporale si passa a fottuto temporale. Anche i proprietari di ombrelli hanno qualche problema perchè una leggera brezza gelata manda le gocce in giro, sfidando la gravità. sento i polpacci fradici.
E' in quel preciso istante, mentre il mio corpo si sforza di non pensare ai polpacci fradici, alla tintoria per l'abito, al fallimentare investimento personale di presentarsi a una riunione come se fossi appena passato sotto la doccia vestito, in quel preciso istante arriva lei. Mi cammina incontro, con passo deciso. Mi arriva a meno di trenta centrimetri dalla faccia e mi guarda. Una signora di una certa età, come tutte le signore dopo i cinquanta e con quei ridicoli cappotti che comprano le signore dopo i cinquanta. Mi guarda. La guardo. Piove, puttana galera.
Alla fine, piove veramente troppo, ma anche la vecchia ha diritto a entrare alla "Geriatria Ronzoni, primo piano a sinistra", penso mentre mi allontano dalla mia piccola tettoia, infradiciandomi.