Perfino a Maggio

Salire. Sentire la sella gelata dal freddo pungente. Girare la chiave. Sentire il rumore pigro della centralina che fatica a svegliarsi. La luce gialla, calda, cade sulle ombre del viale. Anni di tecnologia non potranno mai sostituire il caldo, approssimativo, giallo di una incandescente resistenza. Il motore protesta, intorpidito, e gira a un minimo troppo alto per essere credibile. Vibra tutto. Anche l’orizzonte dei palazzi di fronte sbalzella, dentro questo vibrare convulso. Un colpo di gas, per sentire il polso girare, per sentire il ritardo meccanico nella risposta. La prima entra secca, durissima. Un colpo per il motore, un colpo per il cuore.

Partire. Sentire l’aria gelata che entra ovunque. In faccia, nella pancia, sulle gambe. Strati di cotone, acrilico, lana, pelle, inutili al freddo di una sera. La seconda e la terza arrivano dirette, non c’è fretta.
La terza è la marcia migliore. La moto è nervosissima, sensibile, immatura. Un minimo colpo e i giri salgono, lasciare il polso e la bestia si siede stanca. Il culo scivola sulla pelle gelata della sella, le mani tengono stretto il manubrio, stretta la vita. La tangenziale. Non era quella la strada. Il sottopasso, il traffico della sera. La moto scivola di lato, le luci scorrono a sinistra.

Continuare. La strada non è questa. Bisognava andare dalla parte opposta. Bisognava. Ormai, la strada è questa. La quarta e la quinta, le marce del viaggio. Le vibrazioni si siedono, le ruote si scaldano. Ancora, si sente scivolare la ruota dietro a ogni sussulto dell’asfalto imperfetto della tangenziale. Per centesimi di secondo perdi il contatto con l’asfalto, la ragionevole possibilità di rimanere in vita. Lo scarico butta fuori fumo e urla. Rumore assordante, musica deliziosa. La tangenziale finisce. La tangenziale, come moltissime strade, gira semplicemente intorno al centro.

Sembra di scappare lontano, ma si torna sempre al punto.

Fermarsi. Il motore sfriogola. Sfrigolano solo i motori. E’ il modo di ansimare dopo l’orgasmo che hanno queste creature a due cilindri. L’olio si siede, insieme alla tua anima, a riposare.
Ferma, nuda, spenta, sembra una bestia innocente. Come chi la guida.
Il problema, di queste bestie, è quando trovano il pilota giusto. Tutti sanno accendere una moto, guidarla pazientemente verso il centro. Pochi, pochissimi, sanno tenere al massimo il motore senza farlo scoppiare. Pochi, pochissimi, sanno aspettare che le gomme si scaldino, per non scivolare.
Pochi, pochissimi, sanno lasciare le mani, trattenere il respiro, sentire il freddo, stringere le gambe e spostare due docilissime tonnellate di ferro verso una curva cieca.

Senza mani.

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