Storia reale della mia famiglia – introduzione

In principio, da quanto ne sappiamo, uno dei primi Cattaneo di cui conosciamo le tracce, il padre del padre di mio padre, fu convocato, con grande fretta e imbarazzo, per risolvere un problema, a quanto pare meccanico, sicuramente complesso per il tempo e per il resto del paese, alla macchina.

La prima, una Fiat, lunga come una gondola, larga come una carrozza, con due poltrone da far invidia a un salotto bene, ma anche l’unica. Insomma, la macchina.

Il padre del padre di mio padre sembrava essere l’unico in grado di capire, l’unico in grado di poter risolvere, l’unico comunque a cui rivolgersi.

Faceva il carrozziere, nel senso che riparava le carrozze. Mestiere, non lo sappiamo per certo ma possiamo immaginarlo, ereditato, insieme al capanno e alla larga corte.

La riparazione, due tubi rotti, fu un grande successo, in effetti il padre del padre di mio padre si era rivelato la persona giusta, ma fu anche l’inizio della fine.

La macchina fu presto affiancata da altre macchine, le ricche famiglie sostituivano le carrozze con questi miracoli futuristici che bruciavano nafta e alzavano grandi polveroni sulla strada davanti al cimitero.

Arriviamo a mio nonno, che immaginiamo pronto, come suo padre, ad ereditare la carrozzeria, che si ritrova a non ereditare un bel niente. Se non una guerra mondiale, la sua seconda, e la seconda anche per il resto del mondo, e un bel po’ di problemi nel tirare sera campando bene.

Siamo in Brianza, ai piedi della Svizzera, boschi, laghi, serate di giugno con lucciole e aria fresca che scende a valle. Nessuno avrebbe voluto spostarsi in città.

Quella più vicina, quella più promettente, quella più adatta a un carrozziere in pectore senza carrozzeria e senza lavoro, era Milano.

Bella scelta, per tutti, siamo qua a dire noi.

Perchè così quel timido ragazzo, mandato a lavorare a quindici anni come fattorino in una fonderia, ha potuto conoscere quella ragazza senza papà, che studiava per diventare maestra.

Ma questa, a spanne, è la parte romantica della storia.

Bisogna, per arrivarci, passare ancora sopra un bel po’ di trafilati di acciaio, tondini, caldo dei forni, tram delle cinque del mattino, che portano al lavoro, tram delle sette di sera, che riportano a casa.

Quando la racconta, questa parte, mio padre si spegne, la voce si abbassa lentamente, come se facesse ancora fatica, come se potesse sentire ancora sulla pelle il freddo del tram o il caldo della fonderia.

I ricordi si fanno fumosi, c’è la polvere del tempo, c’è la memoria selettiva, ci sono i novant’anni.

Mio padre ha due grandi argomenti: mia madre e la fonderia.

I ricordi si intrecciano, scusate si fondono, le parole raccontano di una sola vita, la sua, ma di due grandi passioni.

E io resto ad ascoltare, funziona così. Avrei un sacco di domande, ma poi non le faccio. Mi sembra stupido chiedere qualcosa a qualcuno che vuole solo lasciar uscire un ricordo, un ricordo preciso, anche se lungo anni e complicato dalla memoria.

Ho sempre pensato che la mia famiglia avesse diritto a una sua storia, un po’ romanzata ma piena di vita.

E così ho iniziato questo lavoro, di scrivere, ricucire pezzi di passato, collegare posti, biciclette, tram, matrimoni, fughe, montagne, partigiani, bombe.

Non scrivevo da quasi sei mesi. Nemmeno una parola.

Affaticato dal vivere, mi bastavo.

Ho ricominciato da questa cosa qui.

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