Come cucinare il risotto perfetto

Un orologio rotto, illuminato da una abat jour anni settanta, la finestra aperta sul rumore del traffico della sera. Entra aria fresca, da qualche parte aveva letto che stava nevicando. A settembre. Non ci sono più le mezze stagioni, avrebbe voluto dire, se solo avesse avuto qualcuno con cui parlare.

Sfogliando il giornale, cercava qualcosa di interessante che rendesse l’attesa meno feroce. L’appuntamento era alle undici. L’orologio rotto segnava le sei e dieci, ma erano le otto e qualche minuto. Comunque mancavano ore.

Per cucinare il risotto perfetto ci volevano un litro di brodo, due pugni di riso per ogni commensale, mezza cipolla bianca, uno spicchio di aglio, due cucchiai di olio, una noce di burro, del formaggio, meglio se stagionato, e diciotto minuti di pazienza. Non diciassette e nemmeno venti. Diciotto, dal primo mestolo di brodo fino alla perfezione. Mescolare sempre nello stesso senso, come se gli amidi avessero il senso dell’orientamento, e dare una attenzione quasi ossessiva al brodo, mai troppo ma sempre abbastanza per far cuocere i chicchi. Pazienza e fiducia.

Diciotto minuti non sono tanti, per un buon risotto. Due ore non erano tante, per poter ritrovare il motivo di tutto quel viaggiare, la ragione di tutte le emozioni, perlomeno quelle belle, degli ultimi due mesi.

È tardi, per innamorarsi, si era chiesto un’ora prima sotto la doccia? Il corpo che cambiava, le rughe d’espressione, la pelle, le vene, i peli, il tempo che scivola più veloce dell’acqua della doccia. Sentirsi vecchi, osservando il corpo. Ma sapere di avere ancora tempo.

Per un altro risotto, per un altro viaggio, per un altro amore. Per un’altra vita. Il tempo passa, scivola come acqua.

Il tram sul viale, a quell’ora della sera, passava ogni venti minuti. Aveva deciso di fumare una sigaretta ogni due tram. Uno dei modi per dirsi che non servivano altre sigarette. Non servivano altri modi per avvicinarsi alla morte, che si stava avvicinando da sola, lenta ma inesorabile.

Quanti risotti mancavano alla sua morte? Misurare la vita in risotti, meglio che in fallimenti, o in successi lavorativi, o in macchine comprate. Possiamo dire, aveva pensato guardandosi allo specchio, che il tempo vada misurato in risotti e in grandi amori.

Ma quanti amori, quanti grandi amori, ci stanno in una vita?

Queste sono le risposte che varrebbe la pena avere, prima di morire. Per sapere se si è in difetto, risparmiarsi sull’amore è la morte peggiore di chi crede di vivere ma sta già morendo, proprio perché non ama.

Ma quanti risotti si possono cucinare prima di morire? Aveva scoperto, relativamente tardi, l’esistenza di una scuola di pensiero per cui i risotti sono tre: puri, di pesce e tutto il resto. Tra i puri si mettono quello giallo, milanese, quello al formaggio, bianco e cremoso, e quello ai funghi. Quelli di pesce sono tanti quanti sono gli innamoramenti di passaggio. E molti risotti di pesce, poi, sono insignificanti come quei maldestri tentativi di metter insieme il riso, il pesce e altre cose.

A spanne, aveva pensato mentre si asciugava i capelli, vale la pena cucinare quattro risotti. Alla perfezione, ma solo quattro.

E forse quattro sono i grandi amori.

Aveva riso, cercando le mutande, appoggiate sul tavolo davanti al letto.

Perché con i risotti era a posto da un pezzo, avendo fatto i quattro per cui valeva la pena di vivere.

E, contando sua figlia, era arrivato a quattro grandi amori.

Avrebbe potuto morire, senza doversi lamentare.

Così, in mutande si era messo sul letto, a far passare quelle ore che lo separavano dal capire se questo sarebbe stato, avrebbe potuto essere, il quarto, immenso, amore della sua vita.

Aspettava di saperlo, in mutande sul letto di un albergo triste come settembre. Il settembre che vivi è sempre diverso da quello che ti ricordi di aver vissuto. Perché settembre, nei ricordi degli anni passati, è più dolce, come tutti gli autunni. Dimentichi le piccole tristezze e ricordi le foglie e il sole. Come degli amori sbagliati e dei risotti poco riusciti.

Con i funghi. Si era detto alzandosi poco prima delle undici cercando la camicia. Avrebbe cucinato un risotto ai funghi, per lei. Perfetto per l’autunno, per sperare nell’inverno e per arrivare insieme alla primavera.

Il tram delle undici, fermato sotto all’albergo, aveva lasciato una sola passeggera. Che si era messa davanti all’hotel, ad aspettare.

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