Una temperatura assurda, forse l’umidità, le finestre chiuse per tutto il giorno, e tutta quella gente. I genitori sulle panche e sulle sedie, e i ragazzi, chitarre, violini, quelli del pianoforte a mani nude vicino a un vecchio piano nero. Chi arriva, cerca un posto, si siede, mette il cellulare in silenzioso, cerca il figlio con gli occhi. Iniziano i violini di prima media. Stonano e tremano, si vedono le facce, ancora bambini, contratte, la professoressa che segue con le mani lo spartito, ma che ad ogni sbavatura, ci crede meno. C’è il desiderio dei papà e delle mamme, la stanchezza dei nonni, il realismo dei professori. Ma poi c’è la cosa più importante. Per scriverla mi ci vorrà qualche tempo. Ci sono loro. Che sono il centro del mondo. Per loro sta succedendo tutto e tutto gira intorno a loro. E’ stato così per noi. Sarà così per i loro figli. E’ solo un peccato non saperlo, mentre ti succede. Non sento più la musica, mi perdo le note di mio figlio, mi lascio cullare dal ricordo di quando ero lì io. Al centro di tutto. E penso alla fatica dell’amore, all’ansia del successo, alle misure che prendi per forza e quelle che ti prendono da sole. E’ solo un peccato, non sapere che ti sta succedendo.
La dottoressa alla fine si convince e gli chiede di abbassare i pantaloni. A volte penso che noi saremo anziani diversi, anche solo per come ci vestiamo. Mio padre ha sempre pantaloni seri, dal taglio perfetto, di stoffe pesanti. Sulle scarpe, ha ceduto alla fine. Ma pantaloni e camicia no. Scopre le gambe, e io guardo subito la dottoressa. Il colore, il gonfiore, le ulcere. Lei lo accarezza piano, credo si faccia così quando non c’è molto da fare, si accarezza il problema, lo si accetta. Poi gli parla con calma e sorridendo. Usciamo, lui tiene stretta la cartellina blu con dentro tutte le visite, tutte no. Le visite, i referti, le ricette, degli ultimi mesi. Ha bisogno di scriversi le cose adesso, e ha bisogno che gli spieghi le cose, adesso. E’ una cosa nostra. Nostra di figli. Nemmeno la mia compagna capisce quale sia il prezzo di dover spiegare a tuo padre quello che è appena successo. Non la biasimo, non lo capisco nemmeno io. Il mondo lo sta lasciando indietro. E lui lo ha capito. E’ questo, l’invecchiare? Sentire la fine sempre più vicina, e capire che il mondo sta andando avanti. La conferma che tu non solo non sei il centro, ma sei davvero superfluo. Al saggio, in palestra, gli occhi lucidi cercano il nipote. So che non lo trova, so che non vuole chiedere perchè si vergogna. Allora gli dico che la colonna ha delle crepe sospette, proprio in basso. Gli occhi seguono la colonna, trovano il nipote, il respiro calmo mi dice che va tutto bene. E’ solo un peccato, sapere che ti sta succedendo, che il mondo sta andando avanti e tu non ce la fai. E poi, se non credi ci sia qualcosa dopo, staccarti da tutto quello che hai qui deve essere un dolore enorme.
Mentre salgo sul tapis roulant cerco una playlist. Inizio a sudare subito, guardo fisso la parete, correre così è da scemi, ma questo maggio d’autunno ci costringe a fare scelte così. Arriva una canzone che mi porta subito al calorifero del soggiorno di un mio compagno, che adesso è notaio. Era giugno, era finita la scuola, era il compleanno di non ricordo chi. Avevo preso il motorino di un compagno, senza dirlo ai miei. Ed eravamo andati insieme. Non vorrei sbagliarmi, ma penso di averla baciata per almeno due ore. Tutto il tempo della festa, prima che suo padre la venisse a prendere. Il mondo, il centro del mondo, era quel calorifero. Penso alla palestra. A chi è il centro di tutto, a chi sta scivolando dietro a un ricordo di mondo. E a noi, che siamo in mezzo. Che forse è il posto più scomodo e stancante, ma è anche il più bello.
Mi ci vorrà del tempo per scriverci senza farla sembrare una cosa malinconica, ma ho ancora qualche anno, in questa pancia in mezzo alla vita, per farlo.