La cosa che mi manca di più è la pace del mattino. E’ successo tutto qualche anno fa, meno di una manciata: le mattine hanno iniziato a dipingersi di colori forti: il grigio del dubbio, il nero della paura, il bianco del vuoto. Da subito ho pensato fosse una roba curabile, con gocce magiche elargite da scosciate psichiatre, che con i modi di una madre premurosa, si sarebbero sorbite tutto il pippone del mio malessere, per poi sorridere scrivendo una ricetta, strappando il foglio dal blocco, e consegnandomelo in mano dicendo sotto voce: “dieci prima di dormire e dieci appena sveglio, tesoro”.
Ok, tesoro è troppo. Ma anche la psichiatra con sottili pantaloni neri, culo sodo, vita stretta e fare ammiccante è una licenza poetica poco credibile.
Come poco credibile che tutto questo casino fosse risolvibile con delle gocce. I primi mesi sono stati duri. A volte mi svegliavo con la paura di morire. A volte ricordando una vecchia fidanzata e pensando che avesse fatto bene a lasciarmi. A volte immaginando il Fisco che mi fotteva quei due risparmi che sono riuscito a mettere da parte. Che poi è una cosa che periodicamente accade.
Ma se il grigio e il nero erano duri da affrontare, il peggio era il bianco. Il vuoto. Ci ho messo un anno intero a trovare una soluzione, e un anno in più a capire che era solamente l’invecchiare. Come con gli occhi. Non leggere le istruzioni sul gioco da montare, o il dosaggio dell’aloe, o peggio ancora i sottotitoli importanti di un video di lavoro, mi sembrava il primo passo verso la morte. Mi sono immaginato impotente, davanti a un mondo che fa della visualizzazione il centro di tutto.
Poi è stato il turno della gratitudine, che come una fiamma non alimentata, si è lentamente spenta. Cazzo. Fare di tutto e non sentire niente.
Ero così spaventato che ho provato a parlarne anche con chi mi sta di fianco. Ho pensato di prendere un cane. Ottimo per l’umore, decisamente utile per la cecità, indispensabile per osservare come una pallina da tennis possa generare enormi flussi di gratitudine e beatitudine.
Per fortuna, poco prima del cane, ho provato a cambiare strada.
La cosa che mi manca di più, in questo docile invecchiare, sono le mattine. Il cazzo funziona che è una meraviglia, e anzi invecchiando mi concedo pensieri sconci appoggiati a qualsiasi dettaglio. Certo, tutto diventa più selettivo, quando si sente di avere meno tempo o meno forze. La testa mi segue, a volte dimentico un nome, e per tutto il giorno mi rimbalza in mente l’idea di essere sulla strada della demenza. Ma poi mi torna in mente, di colpo, e mi rassereno. Non reggo più le sbronze, ma ho molte meno ragioni per dover sbronzarmi. Leggo più libri di prima, rido meglio, mangio decisamente più cose sane, respiro a fondo spesso. Insomma, non ci si può lamentare.
Negli occhi di mio figlio, negli occhi dei nostri figli, ritrovo la gioia corsara, l’assenza della paura. Il colore delle loro mattine è azzurro.
La cosa che mi manca di più è la mattina. Ho imparato a convivere con il grigio, ad accettare il nero, a sopportare il bianco. Ora di pranzo siamo tornati a delle tonalità migliori. Ho imparato a sopportarmi, ecco.
Ma la mattina di un bambino, le mattine del me ventenne, le mattine così, quelle mi mancano da morire.