Cosa fare se si vede poco da vicino

Tre cose mi hanno fatto decidere, repentinamente, di prendere una mattinata di ferie. I peli sulle gambe, le scritte in piccolo sui barattoli delle vitamine, qualche sbadiglio di troppo. C’erano le nuvole, stamattina molto presto, c’era però un sole rosso, che sbucava, tra i palazzi. Ho camminato fino alla chiesa e mi sono seduto in una delle ultime panche. Mio padre ci tiene molto, ultimamente tiene molto a un sacco di piccole abitudini, sedersi nello stesso posto, mangiare le stesse cose, mettere le chiavi di casa nell’angolo del tavolo del bar prima di ordinare un orzo macchiato caldo, due gocce di dopobarba a sinistra, chissà perchè no a destra. Le prime messe per mia mamma erano uno strazio, controllato, ma pur sempre uno strazio.

Il tempo non aggiusta niente, ma insonorizza. Le giornate, come i cartoni delle uova, si attaccano al muro della memoria, e senti sempre meno. Fino a chiederti, ma è normale che non faccia più male?

E’ da poco che mi affronta, ormai è quasi alto come me, le spalle sono larghe, le gambe grosse e sode. Sono uno dei suoi vanti, queste gambe grosse. E i peli, irti, duri, che sono peli da uomo, su gambe da quasi uomo. Ci affrontiamo, e viene a galla il peggio e il meglio. E’ così che si fanno le cose tra padre e figlio? Non lo so, ma resto poi seduto di fianco a lui, con calma, mentre si asciuga le lacrime, a portare quella pace che nessuno mi portava, parole calme, e guardo le gambe e i peli irti. E sento tutta la sua giovinezza. E la mia vecchiaia. Non è male, come sensazione. E’ solo che non te la aspetti. Perchè al bar guardi ancora le ragazze e sorridi, perchè se vedi uno scoglio alto ti viene l’idea di tuffarti, perchè andresti a tutti i concerti più stupidi. Solo davanti alle gambe di un piccolo uomo, ti arriva il passare del tempo.

Questi cazzo di barattoli delle vitamine sono sempre una grande scomodità. Scrivono piccolo piccolo, e io che sono curioso, anzi curioso curioso, voglio leggere tutto quello che c’è scritto in piccolo piccolo. E non riesco. Devo prendere una luce, devo allontanare il braccio, devo strizzare gli occhi, per arrivare alla vitamina K. E mentre leggo, non mi resta in testa niente, se non il fatto che non vedo più. Da vicino. Comprerò degli occhiali, e anche un cordino per non perderli. E’ quello il confine, che attraversano le ragazze al bar, quando le guardi, tra il sorriderti e il darti del lei. Quel cordino lì è molto più di un cordino.

Era talmente noiosa, quella dannata call, che mi sono messo a sbadigliare come se fossi posseduto. Continuavo a sbadigliare. Almeno dodici, ne ho contati, uno in fila all’altro. Eppure, così al volo, sto dormendo bene. E non ho nemmeno bevuto ieri sera. Allora dev’esser proprio noioso. Tredici, questo più lungo, non si può nascondere. Quattordici subito dopo. Mi scrive in chat un collega. Sei stanco? No, rispondo. Sono stufo. E mi piaceva un sacco, qualche anno fa, essere stufo. Quando potevo, di colpo, dare i numeri. Mollare un lavoro. Mollare una moglie, mollare una squadra, mollare un’abitudine. Il mio modo di fare rivoluzioni era questo. Abbandonare, di colpo, e sparire.

No, non ha mai funzionato. Non sarei qui. E non puoi abbandonare niente, nella vita. Perchè un filo ti resta sempre attaccato. E se guardi, quei fili sono quelli che adesso ti tengono in piedi.

Però era divertente, abbandonare, così, le cose, le persone, il passato, il presente, sognando un futuro tutto diverso.

Allora, tra peli, vitamine e sbadigli ho pensato vado a messa, così faccio felice mio padre, che la sua felicità è vederci nelle sue abitudini, come se solo esserci volesse dire che stiamo bene, che siamo tutti insieme. E poi dopo la messa vado a piedi da qualche parte. E poi torno. Perchè sono diventato bravo a tornare, ultimamente.

Mentre cammino ci penso: non mi ricordo quando mi sono cresciuti i peli, sul pube. Non ricordo il mio pube da giovane. Niente di male, credo. Mi ricordo la mia prima barba. Quei tre peli. E le basette. Dio come ero fiero delle mie basette. E non mi ricordo nemmeno quando le vitamine hanno iniziato ad avere bugiardini troppo piccoli per i miei occhi. E non mi ricordo nemmeno l’ultima volta in cui mi sono seduto e mi son detto: va bene anche così.

Allora mi sono seduto. E mi son detto: guarda che va bene anche così.

E son tornato a lavorare

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