Seduto sull’ultima panchina della chiesa, vicino al portone aperto per far passare un filo di aria, calda e bagnata, lo Scirocco, non riesco ad ascoltare quasi niente. La messa del mattino, le vecchie signore con i vestiti con i grandi fiori stampati, le ciabatte di cuoio sporche di sabbia e terra, la cantilena di canti vecchi come i muri della chiesa, le statue sporche, le candele finite, Sant’Andrea, con la sua strana croce, disegnato sul rosone sopra l’altare.
Quando soffia lo Scirocco il paese si siede, quasi si volesse inchinare al passare del tempo. La piazza si svuota, le vie deserte dove rimbombano gli zoccoli degli uomini che camminano rasi al muro, come a voler evitare l’aria, che in effetti manca.
Un pomeriggio mi sono messo a guardare il mare, gli scogli, i pomodori di mare, le patelline, la schiuma, dalle casse dello stabilimento una canzone anni sessanta. Un tradimento facile, che si perdona nel giro di quattro strofe, come tutte le storie di quegli anni, che si risolvevano in meno di una canzone. Anche la morte, negli anni 60 doveva far meno paura. Ho messo i piedi dentro l’acqua, sentivo il freddo, mi è venuto in mente quel signore che faceva il bagno nel fiume, in montagna, vicino a dove noi andavamo a pescare le trote. Forse la vita e la morte pesavano meno, negli anni 60.
Lo stupore dei marinai dev’esser stato immenso, da togliere il fiato. Di quelli sulle Caravelle, arrivati ai Caraibi, che pensavano fossero le porte della Cina imperiale. E si sono trovati davanti mangrovie, patate, palme, sabbia fine, pesci nuovi. Lo stupore, quello stupore, lo ho spiato una sera, mentre correvo. Alla fine di un uliveto, che da su un monastero abbandonato. Cartelli, vecchi, di chi vendeva l’olio. Un cartello, sbiadito di affittacamere. Due fichi d’india grandi, disordinati, il viale coperto di aghi di pino secchi. Un gatto nero che mi guarda, e un muretto, con due ragazzi. Lei è quasi nuda, con un abito leggero, spostato sulla pancia. Lui è sopra di lei, forse meglio dire dentro di lei. Mi guardano anche loro. Sono giovani. Che ridere dirlo. Sono giovanissimi. Continuo a correre, guardando la strada, passo vicino a loro.
Ho interrotto quello stupore, che c’è proprio sulla cima della montagna del desiderio. Scalarla è forse la cosa migliore, sedersi sulla vetta e godersi lo stupore del piacere è il piacere stesso.
Negli ultimi giorni di agosto mi copro con un velo di malessere, da quando ne ho memoria. I veri bilanci li faccio sempre ad agosto. Aspetto la fine dell’estate, il sole che mi sorprende scendendo sempre prima, i fichi maturi, i primi maglioni sulle spalle, le sedie vuote nei bar sulla spiaggia, il Maestrale forte che chiama correnti che portano pesci e freddo. E’ una coperta famigliare, che conosco bene. La lascio cadere, come un vestito, su di me. Prima scappavo. Quando Pavese è stato trovato morto, vicino a venti scatole di sonniferi, e alla famosa lettera di addio, stava scrivendo ad un amico, della noia dell’estate.
Amici. Quest’estate cercavo i miei amici. Nei tramonti, nelle albe di Ponente, che l’insonnia mi ha costretto a vedere, nelle campagne dove ho corso sotto il sole, in mezzo al mare, nel punto in cui guardavo la costa. Vorrei abbracciarli e chiedere: camminate l’autunno con me, per mano. Superiamo l’inverno, così, come amanti. Forse lo siamo. Amiamo, in fondo, la stessa donna. Che a piedi nudi ci ha sorpresi, ci ha presi e ci ha fatto innamorare. La chiamiamo libertà, la chiamiamo in molti modi. Ma è sempre lei. Abbiamo compagne gelose di altre donne, ma l’unico tradimento è questo. Amici, andiamo insieme.
Ho camminato, ieri sera, in un tramonto bello e nuovo. Le nuove montagne, che sono sempre le stesse, ma arrivo da un mese di colline, di vigne, di uliveti, di steppa bruciata da cuori aridi. Ho guidato tutto il giorno, la Puglia infinita, il Molise, l’Abruzzo, le colline delle Marche, la noia della Romagna, e la fine dei sogni della Pianura Padana. Alle porte della città ho preso la strada che riporta al mare, quello di Levante. E ho parcheggiato vicino a una puttana, sdraiata sul cofano di una Mercedes. Ho guardato il tramonto. E’ tutto nuovo. Sono gli occhi, che vanno abituati al nuovo. L’anima non sarà mai orfana, se gli occhi trovano il nuovo
Amici.